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VIDEO | Uranio impoverito, la testimonianza del Colonnello Calcagni: “Io vittima del dovere, ma di serie B”

Il militare: "Per quelli come me né funerali di Stato né medaglie"

Pubblicato:14-02-2024 14:56
Ultimo aggiornamento:14-02-2024 14:56
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uranio impoverito
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ROMA – Carlo Calcagni, Colonnello del Ruolo d’Onore, a cui è stato riconosciuto il nesso tra le gravi patologie che ha sviluppato e il servizio militare operativo ‘per le particolari condizioni ambientali ed operative della missione internazionale di pace della NATO, sotto l’egida delle Nazioni Unite, nei Balcani’, contatta la redazione Dire per raccontare la sua storia, dopo aver visto un servizio della testata dedicato al Centro Veterani. La sua è una storia simbolo delle vittime da uranio impoverito. Racconta, con tono fermo, rammaricato, ma sempre rispettoso delle Istituzioni e della ‘Patria che ha servito con onore’ che ‘purtroppo, non è vero che la Difesa non lascia indietro nessuno’. Questa la sua denuncia. Quanti come lui, che si sono ammalati per la contaminazione da uranio impoverito ed altre sostanze tossiche, “sono rimasti soli- racconta- costretti a lottare per ottenere i diritti previsti dalla legislazione vigente, insieme alle loro famiglie, troppo spesso abbandonate e dimenticate”.

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È una confessione lapidaria, che porta con sè 21 anni vissuti, tra sofferenza e dolore. ‘Ho avuto l’onore ed il privilegio di essere Comandante, mi sono impegnato al massimo in ogni attività ed ho sempre dato lustro all’Esercito Italiano, sia nelle missioni in Patria, sia nelle missioni internazionali. In Bosnia-Erzegovina sono stato elogiato ed encomiato per aver portato a termine tutte le missioni di volo affidatemi, nonostante i rischi ed i pericoli della guerra, ancora in atto. Il ministero mi ha buttato via come uno straccio vecchio” denuncia nella sua intervista alla Dire. Al tempo stesso, trova ancora, in fondo al tunnel della malattia la forza per ribadire di ‘sentire ancora sua la grande famiglia dell’Esercito e di provare rispetto per il tricolore e per la Patria, che ha giurato di onorare e servire, sempre e comunque’. Non è lo Stato ad averlo tradito, spiega ai giovani quando si reca nelle scuole a raccontare la sua storia di coraggio, ‘perché lo Stato siamo tutti noi cittadini. Ci sono però persone che hanno la responsabilità di quello che è accaduto’.


Chi sono i responsabili? “Chi sapeva ed ha colpevolmente taciuto, chi doveva assumersi responsabilità e non lo ha fatto- incalza Calcagni- chi non ha informato e tutelato noi militari, fornendo i mezzi di protezione adeguati, chi ha mandato allo sbaraglio noi soldati che operavamo in zone notoriamente contaminate da uranio impoverito. Le mappe delle zone contaminate erano state rese note dagli alleati ai vertici, politici e militari, dei Paesi membri della NATO, partecipanti e coinvolti nella missione internazionale di pace. Chi di competenza sapeva ed ha deliberatamente taciuto. Noi abbiamo eseguito gli ordini e svolto con onore ed orgoglio il nostro dovere. Solo per questa colpa, insieme alle nostre famiglie, paghiamo oggi un prezzo altissimo, nell’indifferenza delle Istituzioni. Purtroppo chi è personalmente responsabile continua, ancora oggi, a nascondere ed occultare la vera verità”.

Ufficiale operativo e brillante, Carlo Calcagni era per tutti sul campo “iron man” o “top gun” come era soprannominato e oggi ironizza ripensando a quegli anni, inflessibile, ma ‘giusto’ e sempre presente al fianco di quei soldati che considera i ‘suoi ragazzi’, come li chiama. “Ero comandante di uomini, pilota elicotterista, istruttore”, nel fiore degli anni quando all’improvviso, nel 2002, riceve la diagnosi terribile che lo fa sprofondare in un calvario, lo stesso che dura ormai da tanti anni. Nel 2005 gli viene riconosciuta la malattia come dipendente da cause e fatti di servizio, proprio da una Commissione Medica Militare che aveva accertato e verificato il nesso causale ‘efficiente e determinante’ tra la malattia ed il servizio svolto nei Balcani: ‘verosimilmente esposto a uranio impoverito‘, si legge nel verbale dell’ospedale militare di Bari, datato 10 marzo 2005. Nel 2009 viene iscritto nel Ruolo d’Onore, dopo esser stato riconosciuto vittima del dovere. Gli sono stati conferiti il distintivo d’onore di ‘ferito’ in servizio, prima, ed il distintivo d’onore di ‘mutilato’ in servizio, successivamente.

Il Colonnello Calcagni ha sviluppato una serie di patologie croniche, degenerative ed irreversibili, generate dalla ‘massiccia contaminazione da metalli pesanti’ (come riportato nel decreto di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio): 28 tipi di metalli pesanti, tra cui il cesio e l’uranio, entrambi radioattivi.
Di recente, come racconta sempre alla redazione Dire, ha subito un trapianto di vene, necessario per poter continuare a sottoporsi a plasmaferesi, una sorta di dialisi, per contrastare la polineuropatia, con sclerosi e Parkinson. Il suo impegno di oggi è tutto nella testimonianza. La definisce un “dovere morale per tutti coloro che sono morti e per le nostre famiglie’, un modo, l’unico possibile, per dare voce anche a chi non ha il coraggio per farlo, oppure nel frattempo non c’è più, e non ha questa possibilità: ‘quello che non riesci a fare in vita, non puoi farlo da morto’. Così è nato Delfino (edito da Visione Scuola), un libro, una favola scritta per ogni età. “È importante raccontare il dolore e le fragilità, così come toccare il cuore, raggiungere le profondità dell’anima, rivelare il potere del sogno e l’importanza di non arrendersi, mai, di ricercare sempre la felicità. Ognuno di noi, nonostante tutto e tutti, ha il diritto di essere felice. Basta solo comprendere, in tempo, dove risieda e vivere per scovarla”.

E questo trasmette soprattutto ai giovani: “Si può vivere bene anche con una grave malattia cronica, degenerativa ed irreversibile. Non è importante quanto a lungo vivi, ma come lo fai. Altro che resilienza, io resisto”. Una resistenza attraversata dalla delusione, dalla costante ed incessante battaglia per la verità: “Sono stato elogiato per aver portato a termine tutte le missioni” ma poi, come tanti altri, sarà costretto ad arrivare in tribunale per vedersi riconosciuti i danni subiti, perché il ‘ministero della Difesa mi ha negato il risarcimento del danno’. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sulla storia del Colonnello Calcagni e, dopo averlo incontrato personalmente, il 15 ottobre 2021, ha scritto sulla sua pagina Fb: ‘Qualche giorno fa ho avuto il piacere e l’onore di conoscere il colonnello Carlo Calcagni, rimasto intossicato dall’uranio impoverito durante la missione di pace del 1996 in Bosnia. Una persona umile, coraggiosa e con tanta dignità. In questo servizio de Le Iene potete conoscere la sua storia, piena di punti interrogativi e di risposte mai ricevute. Lo Stato ammetta le sue colpe e dimostri con i fatti il valore di quest’uomo, ammalatosi solo per aver servito con onore la Patria’.

“Ho fatto parte della commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito e del tavolo tecnico istituito da Elisabetta Trenta. Le commissioni parlamentari d’Inchiesta sull’uranio impoverito sono riuscite a dimostrare, in modo inequivocabile, il nesso casuale tra il servizio svolto, in particolari contesti, e le patologie contratte e causa di tanti decessi, ma tutto sembra svanito nel nulla. Di tutto ciò, delle conclusioni delle inchieste, delle relazioni finali, non è rimasta alcuna traccia. Il lavoro fatto è caduto nel dimenticatoio”. Proprio per questo, il Colonnello è fermamente convinto che la volontà del ministro della Difesa Guido Crosetto di istituire “un’altra commissione per fare chiarezza non serva, è solo una perdita di tempo, visto che la problematica è stata abbondantemente trattata e la causa delle patologie e dei decessi è stata, inequivocabilmente, dimostrata, con letteratura scientifica alla mano’.

Sulla sua documentazione personale era stato addirittura posto il segreto di Stato, poi eliminato, come racconta, dopo una lunghissima battaglia durata 17 anni, grazie alla condanna del Tar Lazio nei confronti del ministero della Difesa, nel 2019, ma nulla è cambiato. ‘Non mi arrendo’ è diventato quasi un motto che accompagna la sua missione di testimone. Chi come lui “è tornato in Patria con le proprie gambe, non riceve funerali di Stato, nè medaglie nemmeno di cartone riciclato”, dice con amarezza, quasi come se ci fosse una colpa grave da scontare, quella di essere sopravvissuti. ‘In realtà, noi siamo una risorsa per il Paese che abbiamo servito e- conclude- vorremmo continuare a servirlo con onore’.

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