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Social e fumo al top, gli studenti lombardi distrutti da pandemia

1.400 interviste della Cgil: "Il 90% è disagiato". Moratti: "25 milioni in prevenzione"

Pubblicato:12-07-2022 16:17
Ultimo aggiornamento:12-07-2022 16:17
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smartphine_sigaretta
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MILANO – Social, videogiochi e fumo come antidoto alla solitudine della pandemia. Incompresi dagli adulti e sfiduciati verso le istituzioni. È un quadro sconfortante quello che emerge dall’indagine “Chiedimi come sto“, condotta da Ires Emilia Romagna e promossa da Rete degli studenti medi, Udu-Unione degli universitari e dal sindacato dei pensionati Spi Cgil, che ha coinvolto 30.000 studenti delle scuole superiori e universitari su tutto il territorio nazionale. Oggi a Milano la Cgil Lombardia ha presentato il focus regionale della ricerca, da cui emerge che nove studenti su dieci della regione manifestano un forte disagio psicologico a seguito della pandemia.

Il 28% del campione- intervistati 1.400 studenti lombardi, 800 medi e 600 universitari- manifesta disturbi alimentari, il 16% dei quali innescati dalla pandemia, mentre il 14,5% ha avuto esperienze di autolesionismo, la metà in coincidenza del periodo pandemico. L’emergenza sanitaria ha prodotto anche un cambiamento dei comportamenti e delle abitudini, con l’aumento dell’uso dei social (78%), dei videogiochi (30,7%) e del fumo (18%).

Sono invece diminuiti gli incontri con gli amici, sia online che in presenza (48%) e la cura del proprio aspetto fisico (37%). Il 64% ha subito un cambiamento dei ritmi del sonno. Un quarto degli studenti (26,4%) ha pensato di abbandonare gli studi durante l’emergenza sanitaria e l’esperienza della Dad. La didattica a distanza, in generale, ha prodotto diverse criticità accentuando il disagio psicologico e incidendo negativamente sulla salute mentale degli studenti.


Il 60% degli intervistati poi, teme per la propria salute mentale, mentre il 90% degli studenti chiede supporto psicologico a scuola o in università. Venendo alla parte relazionale, il 73,6% ritiene che vi sia una visione sottostimata della propria generazione da parte degli adulti. Credono negli amici (85,8%) e nella famiglia (85,6%) mentre la fiducia che ripongono verso i diversi soggetti istituzionali è sotto il 50%, fatta eccezione per scuola, università e Unione europea. Tra le priorità d’intervento per il futuro della propria generazione al primo posto c’è il lavoro (56%), seguito dalla richiesta di supporto psicologico e dal tema dell’ambiente.

Come sottolinea il segretario generale Cgil Lombardia, Alessandro Pagano, il tema del lavoro “è centrale anche per i ragazzi e questo ci responsabilizza ancora di più”, per questo “abbiamo la responsabilità di curare non il sintomo, ma la radice. Da parte nostra dobbiamo intercettare di più e meglio i luoghi di lavoro non “tradizionali”, dove il singolo si illude di potercela fare da solo, dobbiamo ampliare la discussione sul territorio che è il luogo fisico in cui si pratica il cambiamento”.

Per la segretaria regionale con delega alla sanità Monica Vangi serve invece “un lavoro di rete” che coinvolga “famiglie, operatori sociali, strutture sanitarie, il sindacato”, in quanto “è necessario lo sviluppo di servizi che si dedichino alla cura e alla rilevazione delle condizioni di disagio prima che diventino patologie”, magari attraverso un investimento più forte sul pubblico”. Ecco perché la Cgil chiede all’assessorato al Welfare regionale “l’avvio di un confronto nel merito e ci aspettiamo un interessamento puntuale”.

Intanto, l’assessorato partecipa alla conferenza stampa con un intervento della vicepresidente Letizia Moratti, convinta che “l’investimento sui giovani sia la base per prevenire i disagi negli adulti e costruire una società più sana e sicura per il futuro”.

Proprio per questo la programmazione regionale 2022 “ha posto un forte accento sull’ambito neuropsichiatrico sia da un punto di vista concettuale, sia dal punto di vista economico con un finanziamento di circa 25 milioni”.

L’assessore al Welfare rivela come siano al vaglio “nuove unità d’offerte intermedie tra le strutture educative e quelle terapeutiche”, e dunque “stiamo lavorando in stretto contatto con il ministero della Giustizia per implementare comunità per i giovani il cui disagio è esitato (sfociato, ndr) in un problema giudiziario”. Detto questo, Moratti “condivide profondamente” la parte della ricerca che sottolinea l’importanza di chiedere aiuto precocemente e “per questo nelle Case di Comunità abbiamo previsto sportelli di ascolto e intercettazione precoce del disagio dedicati in modo specifico ai giovani e ai loro familiari”. 

CGIL MEDICI: STOP MALATTIA-MERCE, SANI SE DENUNCIANO DISAGIO

‘Chiedimi come sto’, prima di curarmi: metti davanti la prevenzione all’idea di profitto. L’indagine sul malessere psicologico giovanile presentata dalla Cgil lombarda provoca la riflessione del segretario nazionale di Fp Cgil Medici, Andrea Filippi. Infatti, “se c’è un errore sulla salute mentale è proprio questo- osserva Filippi- ossia sul fatto che sia stata costruita tutta intorno alla patologia, alla cronicità, per dare una risposta esclusivamente di secondo livello, peraltro con una psichiatria sempre più ospedalocentrica e farmacologica“, ma “senza mai intervenire sulla promozione, sulla prevenzione e sull’intervento primario rivolto agli aspetti psicologici“. Insomma, ben vengano i servizi sanitari, tuttavia per il sindacalista non possono essere la prima risposta, anche perché “di fronte a un giovane che è preoccupato, che sta male perché è in solitudine, che durante la dad ha avuto scarsi rapporti, che è annoiato di fronte a una pandemia che lo ha isolato dagli altri, dovremmo capire che queste reazioni sono più che sane”, molto più sane di chi, come gli adulti, fa finta di niente. Insomma, “io- osserva- starei un po’ attento al nesso troppo immediato tra il disagio dei giovani, e la risposta di sportello psicologico… Ben vengano, ma attenzione a psichiatrizzare e a psicologizzare per forza un vissuto che io credo fondamentalmente sia sano e più sano di quello degli adulti nella misura in cui sono ancora più preoccupati”.

 In fondo, per Filippi “occorre preoccuparsi del giovane che non soffre, non di quello che soffre“, perché chi soffre vuol dire che ha individuato ciò che non va. E di cose che non vanno, soprattutto per i giovani, attualmente ce ne sono tante. I ragazzi “hanno tutto il diritto di stare male nei confronti di una situazione che peraltro allo stato attuale per colpa della politica gli sta levando la terra sotto i piedi: supporto sociale, quello all’istruzione, quello relazionale”, la politica “gli sta smantellando l’ambiente in cui vivono”.

Alla luce di questo, serve un cambiamento culturale, e per il dirigente Cgil è obbligatorio ritornare a rivedere il concetto di salute, un impianto “su cui era stato costruito il modello di servizio sanitario nazionale e quindi il modello costruito dai padri fondatori della 833”, che era appunto incentrato “sulla promozione della salute, che derivava dalla definizione di salute dell’Oms e che interveniva prima ancora dei servizi sanitari su scuola, ambiente, lavoro”. Il tema per Filippi “è nato dentro i consigli di fabbrica, che hanno chiesto che lo Stato si prendesse l’impegno di garantire la loro salute, in modo universale, pubblico e statale (e non dalle regioni)”.

Un concetto che via via è andato scemando a favore di una definizione più legata al profitto. La salute mentale moderna per Filippi “è stata costruita tutta intorno alla patologia, alla cronicità, per dare una risposta esclusivamente di secondo livello, peraltro con una psichiatria sempre più ospedalocentrica e farmacologica”, ma senza mai intervenire “sulla promozione, sulla prevenzione, e sull’intervento primario rivolto agli aspetti psicologici”.

Il dipartimento di salute mentale come osserva l’esponente della Cgil Medici “è intervenuto solo sulla cronicità e sulla malattia grave già esistente”, ma “non abbiamo fatto nulla per i giovani: si pensi- evidenzia- che soltanto il 3% del finanziamento del fondo sanitario che va alla salute mentale viene investito in prevenzione, quando al contrario proprio l’Oms dice che ogni euro speso in prevenzione potrebbe farcene risparmiare 8 in termini di presa in carico dalla cronicità“. Una centralità del profitto che per Filippi ha generato mostri. “Si è fatta un’operazione abilissima in questi anni, a partire dai governi nel 2009 con Berlusconi e Tremonti, con i tetti di spesa al personale, col definanziamento del fondo sanitario nazionale, e con la delegittimazione di tutti i lavoratori pubblici chiamati fannulloni”. Una situazione che per il sindacalista paghiamo ancora oggi, tant’è che “è la causa principale delle aggressioni che gli operatori subiscono nei pronto soccorso”. Accanto a questo, “si è smantellato il confronto con le parti sociali, favorendo il travolgente sviluppo del privato, che si propone come collaboratore del pubblico, quando in realtà non può che pensare al profitto, creare malattia per indurre prestazione, generare liste d’attese e overdiagnosi”. 

Insomma, “ormai i manuali diagnostici, la farmacopea, la farmacologia non fanno altro che inventarsi patologie nuove (peraltro trascurando quelle vere) per inventarsi il farmaco o inventarsi la risposta alla malattia”, prosegue Filippi, che cita come esempio il prozac reintrodotto negli Usa per curare la fantomatica sindrome postmenopausale. “Dobbiamo avere il coraggio di tutelare la salute prima di curare la malattia“, invece di generare “la paura nelle persone di avere sempre la malattia e quindi generare il bisogno di cura”.

Ad ogni modo, ecco perché nello specifico la promozione della salute “non deve chiudersi sulla richiesta di sportelli psicologici perché se no sarebbe un’operazione semplicistica”. Piuttosto “dobbiamo avere il coraggio di fare una proposta culturale che arrivi a una proposta di legge che intervenga su tutti gli elementi strutturanti della salute, dalla formazione degli insegnanti a quella delle famiglie“, in modo tale da fornire strumenti per “l’accoglienza dei famigliari di fronte al disagio, perché i giovani adolescenti sono la cosa più complessa al mondo sulla quale siamo sprovvisti di capacità relazionale, tutti”. Quindi, è necessario “distinguere un piano professionale, teorico, culturale e quindi anche politico per rimettere le cose a posto sull’idea che noi abbiamo di salute, perché se noi aggiustiamo questa idea probabilmente potremmo proporre una cultura che non chiede ai giovani di stare bene e punto, ma che- conclude- permette ai giovani anche di stare male di fronte alla drammaticità che stiamo vivendo”. 

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