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Djokovic tendente a infinito: 24 Slam e la matematica immortalità

Ventiquattro Slam, niente nel mondo del tennis maschile è più grande di così

Pubblicato:11-09-2023 09:32
Ultimo aggiornamento:11-09-2023 20:00

djokovic_24 slam
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(Foto da Twitter)

ROMA – Ventiquattro Slam. Novak Djokovic ridefinisce il senso stesso di ‘Grande Slam’, e se ne fa uno homemade: sul campo che gli strappò l’immortalità statistica due anni fa, se ne prende un’altra. Ventiquattro Slam, niente nel mondo del tennis maschile è più grande di così. Record. Il quarto Us Open, battendo in tre set (6-3, 7-6, 6-3) il russo-carnefice Daniil Medvedev che nel 2021 gli scippò il filotto dei quattro Slam in un solo anno. Ora c’è un numero incontestabile anche per i rinnegati del Goat-debate: il più grande di tutti gioca ancora, ed è il numero 1 del mondo, di nuovo. E’ matematica: è Djokovic tendente all’infinito.

Djokovic ha vinto 24 finali Slam su 36, l’ultima sull’Arthur Ashe che in due anni di confino vaccinale aveva asciugato le lacrime del 2021. Con un pubblico che lo acclama ora come allora, più per ripicca con l’odiato Medvedev. Non va sempre così, a Djokovic. Abituato com’è a rovistare nell’energia di reazione: lui il terzo incomodo poco amato del triangolo inscalfibile. Federer e Nadal hanno imboccato la via d’uscita, lui è rimasto il vertice di tutto. Si allarga, si espande. Si prende tutto il suo spazio.
Il serbo vince, e per prima cosa corre ad abbracciare la figlia. “Era lì, a bordo campo. E io non sapevo che ci fosse. Mi ha sorriso dopo ogni scambio. Mi ha dato l’energia che mi serviva ad ogni punto”. Lui fa così, assorbe, trasforma e demolisce. E’ fisica quantistica, più che tennis.


Poi chiude un cerchio con gli americani: indossa una maglia celebrativa col 24 di Kobe Bryant, la leggenda dei Lakers morta nel 2020 in seguito allo schianto dell’elicottero su cui viaggiava assieme alla figlia. Sulla maglia c’è una che li ritrae assieme e la scritta ‘Mamba Forever’.

“Ci sentivamo spesso e parlavamo della mentalità vincente”, racconta alla fine. Quelle chiacchierate erano un informale progetto Manhattan dell’agonismo. Il tennis ha definitivamente il suo Oppenheimer.

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