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Regionali in Emilia Romagna, i centri antiviolenza bocciano Borgonzoni: “Visione miope”

"E' tipico della destra leggere il fenomeno in maniera unilaterale, come problema di sicurezza pubblica"

Pubblicato:11-01-2020 17:01
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:50
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BOLOGNA – La leghista Lucia Borgonzoni, candidata alla presidenza dell’Emilia-Romagna, non passa l’esame del Coordinamento regionale dei centri antiviolenza.

Perche’ nella risposta inviata per la campagna “Pensaci prima”, Borgonzoni punta il dito sul legame tra stranieri e violenza di genere: una visione “miope e strumentale”, e’ la bocciatura della presidente del Coordinamento, Angela Romanin.

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“A livello nazionale abbiamo attivato il Codice rosso ma sono tante le cose da mettere in campo anche in regione”, afferma in video Borgonzoni. Ad esempio, “mettere ancora piu’ a sistema e in rete le associazioni e le persone che lavorano attorno alla tutela della donne”, e garantire una “maggiore formazione degli assistenti sociali e di tutto il personale pubblico che si avvicina alle donne che fanno denuncia o vorrebbero farlo”, perche’ ci sono fasi in cui “rimangono sole” e serve invece “una rete che le aiuti anche dopo”. 

La candidata leghista propone di rafforzare i percorsi per l’autonomia lavorativa delle donne che si smarcano dalla violenza e concorda con i Centri sul fatto che “i fondi devono diventare strutturali”. Infine, “bisogna ragionare su un fondo, piu’ generico e non solo per le donne, magari parziale- afferma Borgonzoni- per aiutare tutte le persone che subiscono violenze”.

Borgonzoni, pero’, dice anche che “dobbiamo fare i conti con la popolazione sempre piu’ straniera”, sottolineando il tema delle “culture diverse” e di un approccio differenziato da parte degli operatori. “E’ il solito legame che la destra e la Lega in particolare fanno tra violenza e stranieri, che pero’- commenta Romanin- di cui pero’ non c’e’ assolutamente riscontro nella violenza sulle donne”, visto che gli autori “sono italiani e stranieri in quota corrispondente alla presenza sul territorio”.

Per la presidente del Coordinamento “e’ tipico della destra leggere il fenomeno in maniera unilaterale, come problema di sicurezza pubblica. Questo c’e’ ma serve anche una lettura piu’ complessiva”, mentre un approccio come quello di Borgonzoni “legge il fenomeno con i pregiudizi che si hanno in testa”. La violenza di genere “non guarda in faccia a niente e nessuno. Non c’entrano ne’ nazionalita’ ne’ eta’”, aggiunge Giulia Sudano del Centro delle donne di Bologna.

“La nostra sensibilita’ sul tema violenza di genere l’abbiamo dimostrata con la legge sul cosiddetto Codice rosso”, rivendica anche Simone Benini del M5s, che si sofferma sul nodo dell’autonomia economica (per impedire che le donne risultino “dipendenti dal marito”) e dichiara: “Non posso far altro che concordare con la campagna ‘Pensaci prima’. Ritengo fondamentale che siano da fare e finanziare tutti gli strumenti che (i promotori, ndr) hanno chiesto di mettere a dispozione della societa’”.

Stefano Lugli (L’Altra Emilia-Romagna) afferma di condividere “in toto” la richiesta di raddoppiare i fondi per i Centri antiviolenza, sottolineando poi la necessita’ di “sostenere le donne che hanno intrapreso percorsi attivi di uscita dalla violenza”, comprendendo in questo anche la richiesta di un fondo ad hoc per le spese legali.

Anche Marta Collot (Potere al popolo) concorda sul raddoppio dei fondi e poi cita esplicitamente la proposta del reddito mensile: “E’ assolutamente condivisibile, ma perche’ sia realmente efficace a garantire un’autonomia c’e’ bisogno anche di ampliare questo aspetto e garantire l’accesso a un lavoro degno e alla casa”. Collot sposa anche l’idea del fondo per le spese legali, ampliando il concetto “anche alle consulenze psicologiche”.

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