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Terrorismo, Nato Foundation: “Nuove minacce dopo Al Qaeda e Daesh”

Il presidente della Nato Defense College Foundation, Alessandro Minuto-Rizzo, intervistato dall'agenzia Dire

Pubblicato:10-12-2019 11:03
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:44
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ROMA – “Riunire periodicamente esperti tra i migliori del mondo per discutere delle nuove facce del terrorismo dopo Daesh, dopo Al Qaeda. Capire che tipo di terrorismo sta emergendo, quanto è legato ai vecchi schemi, quanto è nuovo”. Intervistato dall’agenzia Dire, il presidente della Nato Defense College Foundation Alessandro Minuto-Rizzo ha descritto così l’obiettivo di una giornata di lavori a Roma sul tema ‘Confronting Criminal/Terrorist Threats The Reshaping Of Non-State Actors’.
La fondazione, istituita nel 2011 nell’ambito del Nato Defense College, ha messo a confronto oltre dieci specialisti nell’analisi della lotta al terrorismo e alla criminalità transnazionale, suddivisi in tre gruppi di discussione.

A guidare i lavori, secondo Minuto-Rizzo, la consapevolezza che “bisogna adattarsi a un nuovo paradigma e a nuovo scenario geopolitico e internazionale, dove gli Stati-nazione hanno perso la centralità che avevano un tempo”.

Uno degli aspetti approfonditi nel corso del convegno è stato il fenomeno della radicalizzazione dei giovani musulmani in Europa. Fernando Reinares, direttore del Violent Radicalisation and Global Terrorism Programme del Real Instituto Elcano di Madrid, ha sottolineato che “tra i foreign fighters presenti in Iraq e in Siria i giovani musulmani residenti nei Paesi dell’Europa occidentale sono presenti in un numero 20 volte superiore a quelli provenienti da qualsiasi parte del mondo”.


L’esperto ha anche messo l’accento sulla connessione tra la presenza di movimenti islamici salafiti e terrorismo, invitando “a scegliere quale modello di islam sostenere, certo non un modello che vede i nostri valori di democrazia e libertà come un pericolo”.

Per Stefano Silvestri, vice-presidente della Nato Defense College Foundation, bisogna anche lavorare per ricomporre una frammentazione interna alla lotta al terrorismo. “Uno dei problemi – ha sottolineato Silvestri – è che non riusciamo a metterci d’accordo sulla definizione di cos’è un terrorista”. Il vice-presidente della fondazione ha anche ha richiamato l’attenzione sul fatto che “la lotta al terrorismo dovrebbe dare la priorità al combattere la ‘black economy’” per poter “privare le organizzazione eversive dei mezzi di finanziamento”.

Quello del sostegno illecito ai gruppi terroristici è stato uno degli argomenti al centro della conferenza. Come messo in evidenza da Jeffrey Hardy, direttore generale della rete Transnational Alliance to Combat Illicit Trade, “l’economia illegale è determinante nel finanziare le attività criminali, oltre a far crescere la corruzione e a minacciare lo stato di diritto”.

Parte del convegno è stata poi dedicata alle strategie di lotta al terrorismo da impiegare negli scenari in cui l’Alleanza atlantica è impegnata direttamente. Secondo Filippo Musca, del Siracuse Internationale Institute for Criminal Justice and Human Rights, la lotta al terrorismo deve “affrontare le cause che hanno generato il fenomeno”. L’esperto ha detto che “la povertà e la mancanza di opportunità sono tra i fattori principali” e bisogna quindi “analizzare il contesto sociale e politico all’interno del quale si sviluppano le organizzazioni eversive”.

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