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Chiara Rapaccini ‘mostra’ Monicelli: “Lui e quelli della sua generazione avevano la schiena dritta”

'Rap e Belzebù in programma alla Casa del Cinema di Roma fino al 2 aprile (ingresso gratuito)

Pubblicato:08-03-2024 19:59
Ultimo aggiornamento:08-03-2024 19:59

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ROMA – Questa sera è stata inaugurata alla Casa del Cinema la mostra Rap e Belzebù, firmata da Chiara Rapaccini, in arte RAP, pittrice, scultrice, designer, illustratrice e scrittrice, compagna di Mario Monicelli per trentacinque anni. Le installazioni, visibili a ingresso gratuito fino al prossimo 2 aprile, sono dedicate proprio al grande cineasta romano.

In esposizione dodici lenzuoli dipinti, realizzati a partire da fotografie provenienti dall’archivio privato di Monicelli: scatti del regista, ma anche immagini di alcuni grandi attori del nostro cinema e istantanee di vita privata. Numerose le tecniche utilizzate da RAP – pennello, acrilico, punta secca, ricamo, fumetto e scrittura libera – che è intervenuta, con il suo lavoro, prima sulle foto e, successivamente, sui grandi drappi.

Per me è un’emozione e una grande opportunità poter esporre alla Casa del Cinema queste opere che racchiudono cinema, pittura e il mio libro ‘Mio amato Belzebù’“, ha detto Rapaccini all’agenzia Dire. Su questi lenzuoli, che l’artista definisce “leggeri come fantasmi”, sono raffigurate delle fotografie che Mario aveva buttato via in una notte di inverno insieme ad alcune sceneggiature. Le ho riprese. E qualche tempo fa – ha proseguito Rapaccini – ho pensato a come usarle. E così le ho stampate sui lenzuoli arricchendole con i fumetti”. Opere che raffigurano il grande Monicelli con i suoi amici – Marcello Mastroianni, Virna Lisi, Vittorio Gassmann, Totò, Anna Magnani – e “attimi della nostra vita”, ha detto Rapaccini. “Sono i miei amati fantasmi che ci sorridono da un mondo lontano, ma vivo e vibrante. Fantasmi che non muoiono mai, come il nostro cinema“, ha aggiunto.


Un amore durato per oltre 30 anni. Si sono conosciuti e innamorati quando Rapaccini era ancora una ragazzina. “Quando l’ho incontrato avevo 19 anni. Aveva dei lampi negli occhi, come Belzebù. Mi ha presa per mano ma non mi hai mai domato, mi ha scelta anche per questo”.

Di Monicelli “mi manca il suo cinema. Io lo amavo perché lui e quelli della sua generazione erano persone con la schiena dritta per davvero. Avevano valori politici, si chiamavano comunisti e non si vergognavano di dirlo. Lottavano anche quando facevano cinema. Niente li piegava. Non c’era il peso del politicamente corretto, che sta distruggendo la nostra società“, ha ricordato Rapaccini.

Se chiude gli occhi quale immagine visualizza di lei insieme a Monicelli? “Io e lui durante una notte nel deserto in attesa di girare una scena. La troupe era andata a riposare nelle roulotte. Noi siamo rimasti in una jeep tra un tremendo vento freddo che scuoteva la macchina e un cielo stellato. Abbiamo parlato di cose semplici, forse anche d’amore. Mario era disposto a lasciarci la pelle lì ed io non l’ho lasciato“.

In questa occasione Rapaccini ha presentato al pubblico il libro ‘Mio amato Belzebù. L’amara Dolce vita con Monicelli e compagnia’ (Giunti Editore), un memoir autobiografico irresistibile, una grande storia d’amore, il racconto ironico di un’irrinunciabile vocazione alla propria arte e alla propria indipendenza al fianco di un maturo genio del cinema e del suo mondo.

A seguire gli spettatori hanno assistito alla proiezione di ‘Speriamo che sia femmina’ di Mario Monicelli, storia di una famiglia insolitamente matriarcale a cui si contrappone un universo maschile gretto e meschino. Il film è una delle grandi opere femministe del nostro cinema ma è privo di consolazioni: ‘Se le donne risultano vincenti, l’esito della loro vittoria è rimanere da sole’, disse il regista.

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