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Mma e combattimenti trans contro donne, Alberton: “Un abominio”

In Italia non esistono combattimenti 'misti', il decano: "È una sorta di esperimento che è stato fatto negli Stati Uniti e la donna è stata letteralmente massacrata"

Pubblicato:01-09-2023 12:18
Ultimo aggiornamento:01-09-2023 12:30
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mma alberton
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ROMA – Una commozione cerebrale e 7 ossa craniche rotte: era finito così, dopo 3 minuti e 32 secondi, il combattimento nel 2014 tra Fallon Fox, atleta trans, e Tamikka Brents. Ha sbancato nella categoria femminile di Mma (arti marziali miste) nel 2021 la sua seguace Alana McLaughin, ex membro delle Forze speciali dell’Esercito americano. Capelli rosa e reggiseno, McLaughin, che fa fatica a trovare avversarie donne, ha la fisiologia e la forza di un uomo a tutti gli effetti. Una polemica che non la tocca e non le impedisce, mentre quasi ‘ghigliottina’ l’avversaria, di indossare una t-shirt ‘End Trans Genocide’. Secondo le norme in vigore sarebbe comunque tutto regolare nel momento in cui la Commissione di Boxe della Florida ha approvato i livelli ormonali di Alana.

Non la pensa così Claudio Alberton, decano e maestro degli sport di combattimento in Italia. “Sono assolutamente contrario- spiega intervistato dalla Dire- È una sorta di esperimento che è stato fatto negli Stati Uniti e la donna è stata letteralmente massacrata. Ho lottato con un trans di 100 kg: il trans è un uomo che utilizza ormoni, ma la sua forza fisica, anche se cambia morfologia ed estetica, resta quella di un uomo. È improponibile nei nostri sport, come nell’atletica, che concorrano con le donne: il trans magari ha il seno e altre varianti, ma forza, velocità, resistenza sono praticamente quelle degli uomini”.

In Italia finora questa strada non è stata intrapresa: “L’hanno condannato tutti- ha spiegato- è un abominio. In Italia nel caso sarebbe uno scontro tra due trans o tra un trans e un maschio”.


Alberton è considerato un maestro che crede moltissimo nelle donne negli sport di combattimento: “Sono serie, stoiche, decise ed è un luogo comune pensarle come maschi, fuori dalla gabbia sono femminili, belle e in minigonna”, ha ironizzato. Alle donne “devo tutto”, ha ammesso: “La prima donna campionessa di pugilato, 20 anni fa quando diedero il nulla osta, Stefania Bianchini, trionfatrice europea e mondiale, era mia allieva e il mio staff tecnico Uof (University of Fighting) era il primo club in Europa con 3 campionesse del mondo e 2 europee. Le donne in questi sport sono perle e vederle combattere e poi vederle fuori dà proprio l’idea della donna nella sua complessità. Sono bravissime, belle, iper tecniche e quel che di aggressivo hanno non lo hanno fuori dal ring. A me poi non è mai capitato nemmeno di avere allenato ragazze lesbiche, quindi ci sono tanti luoghi comuni che vanno sfatati”, ha aggiunto per smascherare gli stereotipi “che ruotano intorno a questi sport in Italia”.

Oggi Claudio Alberton, che agli esordi della sua carriera ha iniziato con il karate, è specializzato nel combattimento di strada: ha girato il mondo per la University of Fighting, i suoi campioni hanno vinto 28 cinture tra Mondiali, Intercontinentali ed Europei, tra le più importanti sigle Internazionali compresa la boxe. Maestro di Muay Thai, dal 1978 al 1993 karate Shotokan con grado Maestro 3 dan, è anche esperto in pugnali e coltelli.

“Attualmente mi occupo dell’organizzazione di eventi sportivi e sono impegnato nel sociale con ‘Fuori dalla gabbie’ per l’adozione a distanza di cani usati nei combattimenti e con la Fondazione Penelope contro bullismo, cyberbullismo e femminicidio. I nostri sport sono esposti a una gogna mediatica e in Italia siamo circondati da luoghi comuni”, e ha sottolineato: “I fratelli Bianchi (che una sentenza riconosce come colpevoli dell’uccisione del giovane Willy Monteiro) sarebbero stati assassini anche senza arti di combattimento, chi pratica certe attività viene sempre additato di destra e violento”. Alberton non ci sta, così come boccia senza mezzi termini i corsi di difesa personale per far sentire le donne sicure in strada: “Non ci credo, so cosa è la strada, cosa vuol dire prendere pugni in faccia e sul naso. Serve il contatto pieno per capire. Se la palestra non va in strada e la strada non va in palestra – come dico sempre – non si danno informazioni corrette. Al primo schiaffo ci si paralizza e basta. Anche perché se in strada c’è il branco – come i fatti tragici di Palermo e Caivano mostrano – cosa fai? Un corso di 2 ore la settimana?”.

Per Alberton è serio “sudare, allenarsi almeno 3 volte a settimana con sport da combattimento, abituarsi al contatto, perché i corsi in realtà non insegnano a prenderle” la sua provocazione. “Io invece insegno street fighting e chi è allenato ha anche una soglia del dolore più alto. Le donne che fanno agonismo possono fratturarsi un naso o un ginocchio e sono preparate, sono abituate a confrontarsi“.

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