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L’Italia fa rete per Kisubi: ecco i plantari 3D

Daniele Bianchi, direttore tecnologico della start up Medere: "L'innovazione cambia la qualità della vita delle persone"

Pubblicato:29-03-2023 17:28
Ultimo aggiornamento:29-03-2023 17:28

uganda kisubi
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ROMA – Fabbricare plantari con costi molto ridotti e materiali più flessibili, che permettono un recupero più rapido soprattutto nei bambini, oggi è una realtà nel Corsu Rehabilitation Hospital di Kisubi, località a circa 30 chilometri dalla capitale ugandese Kampala. A tracciare con l’agenzia Dire i contorni di un progetto che ha messo in rete il mondo della cooperazione allo sviluppo con quello dei privati e della ricerca è Daniele Bianchi, direttore tecnologico della start up Medere – che si occupa di modellazione meccanica degli apparati protesici e stampa 3d – nonché ricercatore dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

L’Ospedale Corsu– inizia Bianchi- è un’eccellenza in Uganda per la riabilitazione a livello nazionale e internazionale. Si era già dotato di un laboratorio di stampanti 3D, ma per vari motivi non era sfruttato al massimo potenziale. Un anno e mezzo fa la Onlus Cbm Italia, presente sul posto da anni, ha quindi lanciato un invito a collaborare insieme a Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo, che noi di Medere abbiamo raccolto col progetto ‘Innovation for inclusion. Tecnologia 3D sostenibile per l’inclusione delle persone con disabilità in Uganda’. Il risultato? Ora i bambini potranno avere plantari su misura a costi estremamente ridotti sia per l’ospedale che per le famiglie”.



Il progetto, chiarisce l’esperto, che è rientrato da Kisubi da pochi giorni, non è rivolto solo ai minori ma “naturalmente sui bambini ha un impatto diverso: il materiale è più morbido e quindi il bambino riesce a camminare e giocare senza provare dolore o fastidio, e quindi il supporto viene tenuto per tutto il tempo necessario al recupero”. Senza contare che “i bambini crescono, quindi il plantare deve essere sostituito più spesso”.

L’ospedale di Kisubi aveva già degli i-Pad per la scansione del piede, ma grazie all’intervento del team di Bianchi “ora il personale del laboratorio è in grado di progettare a partire dalla scansione anatomica il modello dell’ortesi, oltre che produrlo con la stampante 3D, grazie a un computer dotato di un software Cad con licenza perpetua forniti anch’essi con il progetto. Abbiamo inoltre formato, sia da remoto che in presenza, sei persone – tre tecnici ortopedici, due infermiere specializzate e un ingegnere biomedico – e lasciato dei manuali che permetteranno la trasmissione di queste competenze ai prossimi addetti”.
Oltre ai plantari, Bianchi e colleghi hanno raccolto la richiesta di “produrre tutti quei materiali di cui medici e infermieri possono aver bisogno quotidianamente, come modelli anatomici didattici o per la pianificazione pre-operatoria, connettori per macchinari di anestesia, reggimascherine salvaorecchie, immobilizzatori per le fratture o altri supporti per bendaggi e fasciature, che oltre ad essere prodotti più velocemente ora vengono resi disponibili a basso costo”.

Quando si parla di abbattere i costi si pensa anche a quello per l’ambiente: “Pensiamo al plantare- prosegue il ricercatore- dove tradizionalmente la fabbricazione prevede la presa dell’impronta e poi il calco in gesso, prima della produzione del supporto vero e proprio. Questi elementi dovranno essere smaltiti. Un semplice scanner invece ci permette di eliminarli. Inoltre, la produzione standard si basa su metodologie sottrattive con produzione di molto materiale di scarto. Le tecniche additive di stampa 3D riducono al minimo ogni scarto”.

Permettere alle famiglie di risparmiare denaro non è però un aspetto secondario: “Al Corsu abbiamo conosciuto una famiglia che lamentava di non avere le disponibilità per coprire i costi di viaggio e dei plantari. Il progetto permetterà di ridurre notevolmente i costi produttivi incidendo meno sulle famiglie dei futuri pazienti”.

Ora il prossimo passo, assicura Bianchi, “è disseminare questa conoscenza in Uganda e negli altri paesi, ma anche sensibilizzare le persone sulla tecnologia digitale: spesso infatti si tende a credere che, data la semplicità del procedimento, il prodotto finale non sia efficace alla terapia quanto le tecniche tradizionali. Vogliamo poi puntare a stampare in 3D gli invasi delle protesi per gli amputati. L’utilizzo della stampa 3D offre materiali innovativi e flessibili che riducono il rischio ulcerazione e quindi migliorano la funzionalità della protesi”.

Il tema sarà al centro di una lezione aperta giovedì 30 marzo alle 17.30 al Campus Bio-Medico di Roma, a cui con Bianchi parteciperanno Nicola Napoli e Giovanni Mottini del Comitato Cooperazione Universitaria allo Sviluppo e Volontariato (Cusv), dell’Università Campus Bio-Medico di Roma; Tamara Littamè, International Programs Manager Uganda dell’organizzazione Cbm Italia; Alessandro Masciadri di Fondazione Cariplo – programme officcer nel Programma Innovazione per lo Sviluppo; Mauro Grigioni, direttore del Centro nazionale per le tecnologie innovative in sanità pubblica presso l’Istituto Superiore Sanità; Valerio Lombardi, presidente della commissione Sistemi informativi sanitari dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma; Leandro Pecchia, professore di Bioingegneria Eleronica ed Informatica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

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