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Maxi operazione della Guardia di Finanza, arrestati 35 imprenditori cinesi – VIDEO

Si è conclusa alle prime luci dell'alba un'indagine durata mesi, che ha portato al sequestro di beni per

Pubblicato:28-07-2015 08:00
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:28

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Si è conclusa alle prime luci dell’alba un’indagine durata mesi, che ha portato al sequestro di beni per un valore di 5 milioni e 500 mila euro di proprietà di 35 indagati di etnia cinese che, tra Roma e Prato, operavano nel settore della contraffazione. Questi imprenditori sono stati denunciati per ricettazione e vendita di prodotti industriali con segni mendaci. Oltre ai beni dei malviventi (14 società, 25 aooartamenti, 10 automobili di lusso, 135 conti correnti bancari e cassette di sicurezza), le Fiamme gialle hanno sequestrato anche 3 milioni di capi di abbigliamento e oltre 1 milione e 300 mila pezzi di accessori “idonei a consentire la fraudolenta asportazione dell’etichetta attestante la provenienza cinese della merce”, si legge nella nota della Guardia di Finanza.

I militari del comando provinciale di Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica, hanno così smantellato una rete di falsari che operava nella cosiddetta area di ‘Commercity’, situata nel quartiere Portuense, nella Capitale, e che faceva da hub per un imponente traffico di abbigliamento made in Italy contraffatto.


L’indagine era partita dal censimento delle aziende del settore ‘pronto moda’ che operano appunto nell’area di Commercity. Una volta messe a confronto le aziende di proprietà di imprenditori cinesi (oltre il 50% del totale) con il volume d’affari effettivamente generato, i finanzieri si sono accorti che i conti non tornavano: quest’ultimo equivaleva solo al 9,2% del totale. Un’incidenza troppo bassa, a fronte di una presenza così consistente. Gli inquirenti hanno così deciso di ricostruire il percorso delle merci vendute nel maxi hub, risalendo ai loro siti di produzione. Da questa attività di analisi dei libri contabili e dai pedinamenti dei tir e container per il trasporto, è emerso che gran parte dei prodotti provenivano direttamente dalla Cina. Poi, grazie ad intermediari attivi a Prato -fornitori e confezionatori– veniva apposta sui capi l’etichetta ‘made in Italy’ per essere quindi reimmessi sul mercato italiano.

L’operazione ha permesso anche di portare alla luce una maxi frode fiscale pari a 44 milioni di euro, a cui vanno ad aggiungersi 7 milioni di evasione Iva.

Nell’indagine, che dimostra quanto la Capitale rappresenti uno dei mercati più appetibili per questo genere di traffici illeciti, sono stati chiamate a collaborare anche varie case di moda, che hanno permesso di riscontrare la cosiddetta ‘contraffazione figurativa‘, che consiste nella duplicazione illecita di disegni e stampe propri a queste aziende.

Di Redazione

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