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ROMA – “Abbiamo avuto un calo delle nuove chiamate del 30-40%, nelle case rifugio le donne sono in allarme. La nostra preoccupazione è che la violenza sulle donne aumenti perché non hanno più la possibilità di scappare dalle case. Per questo voglio dire loro che possono contare sulle operatrici antiviolenza di BeFree, noi ci siamo. Abbiamo l’obbligo e la motivazione di andare ad intervenire laddove c’è bisogno”. A parlare all’agenzia Dire è Oria Gargano, presidente di BeFree, la cooperativa sociale che gestisce centri antiviolenza e case rifugio tra Lazio, Abruzzo e Molise, che, anche in emergenza, continuano a svolgere il proprio servizio di aiuto alle donne che subiscono violenza con un’assistenza telefonica attiva h24 (i numeri sono sempre gli stessi disponibili al link http://www.befreecooperativa.org/centri-antiviolenza/, ndr). “Nei centri antiviolenza si fanno i colloqui al telefono con la postilla che, in casi di grande emergenza, si lavora in presenza, con tutti i supporti di protezione del caso – spiega Gargano – Questi casi si sono già presentati. Da quando è iniziata l’emergenza abbiamo avuto bisogno di incontrare delle donne. Qualche giorno fa ci ha contattato una donna che non parla l’italiano e che vive col marito maltrattante. Era necessario incontrarla assieme alla mediatrice. Lo abbiamo fatto comunicandolo al Municipio dove si trova il centro”.
Tra i punti su cui per la rete antiviolenza occorre fare chiarezza, c’è anche l’autocertificazione: “Ci siamo chieste: ma se la signora viene fermata per strada in un controllo e nella sua motivazione dice ‘Vado in un centro antiviolenza’, questo viene interpretato come motivo di necessità e di urgenza? – osserva Gargano – La ministra Bonetti ha detto che lo è. Per noi è un riconoscimento importante, perché il tema della violenza contro le donne non è stato toccato dai Dpcm. Di certo non è una crudeltà, ma una dimenticanza, il che però la dice lunga”.
Una dimenticanza che, per la presidente di BeFree, c’è stata “anche per altre situazioni sociali, dagli homeless, che mi risulta siano stati multati in molte parti d’Italia, agli ostelli e centri d’accoglienza per migranti. È evidente- osserva- che si è pensato ad un concetto di casa rassicurante, borghese, quotidiano, e non a chi ha problematiche particolari, ai non organici. La mia non vuole essere una critica, penso che il Governo si sia mosso bene e concordo che la via più sicura, logica e razionale sia dire di stare in casa – precisa – Credo, però, che ci sia una cultura che non prende in esame tutto quello che è extra rispetto alla narrazione delle famiglie per bene che leggono, scrivono, e alle 18 vanno sul balcone a cantare. Non esiste solo questo, bisogna tenere conto della complessità sociale”.
Positiva, invece, la presenza delle Istituzioni: “Comune, Municipio e Regione ci hanno chiesto come meglio organizzare le attività, il Comune ci ha anche sanificato un centro- fa sapere la presidente di BeFree- L’assessora della Regione Lazio Pugliese mi contatta spesso per sapere come vanno le cose e Valeria Valente, dalla Commissione Femminicidio, ci ha chiamato per capire su quali questioni c’è bisogno di intervenire”. In più, “la ministra Bonetti ha accolto le problematiche che presentavamo e ha dichiarato che è consapevole dello sforzo economico che stiamo facendo”. Ad esempio sui dispositivi di protezione individuale, le famose, introvabili, mascherine, “che abbiamo comprato spendendo circa 2mila euro e che ancora non sono arrivate”. “Spero se ne tenga conto”, è l’auspicio di Gargano, che alle istituzioni lancia un appello: “Occorre affrontare tutte le problematiche attinenti alle persone per le quali la casa non rappresenta qualcosa di bellissimo e pensare a fondi specifici per le nostre attività”.
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