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Screening gratuiti per l’epatite C, Andreoni: “Si rischia di perdere finanziamento da 71,5 milioni”

Kondili (Iss): "Bassa percezione del rischio tra la popolazione"

Pubblicato:22-07-2022 18:06
Ultimo aggiornamento:22-07-2022 18:24

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ROMA – “Prima dell’avvento della pandemia, l’Italia rappresentava uno dei nove Paesi al mondo in grado di raggiungere gli obiettivi dettati dall’Oms, sia per quanto riguarda il trattamento della patologia ma anche per l’attività di screening. In questo scenario si colloca lo stanziamento di oltre 70 milioni da parte del governo. In questi ultimi due anni le Regioni si sono impegnate ad attuare quanto emanato, tuttavia le campagne di screening sulla popolazione sono state sporadiche e con una moderata efficacia sostanziale, ha spiegato Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit e professore di Malattie Infettive Università di Roma Tor Vergata, nel corso del suo intervento al convegno ‘Screening di popolazione per combattere l’HCV, che si è tenuto questa mattina presso la Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

“Oggi abbiamo dei farmaci che in 8-12 settimane garantiscono la guarigione. Intercettare il sommerso- aggiunge Andreoni- è fondamentale e vuol dire curare tutti i pazienti. Lo screening dell’epatite C è una grande opportunità come il finanziamento datato 2020. Il governo ha previsto 71,5 milioni di euro in via sperimentale, per gli anni 2020 e 2021, per garantire uno screening gratuito per l’infezione da epatite C che scade a fine 2022. Credo che la stessa la pandemia potesse rappresentare un’opportunità. Credo nello screening opportunistico: cioè alle persone che si sottoponevano ai tamponi e al vaccino poteva essere proposto lo screening per l’epatite C. Non abbiamo saputo cogliere questa opportunità. Visto che il fondo scade nel 2022 pensare che in 5 mesi possiamo mettere in piedi lo screening nelle regioni mi sembra difficile. Dobbiamo trovare una soluzione anche a livello centrale, altrimenti nel fine 2022 abbiamo un decreto attuativo ma il finanziamento scade. Le istituzioni devono farsi carico di questo problema”. “Abbiamo le armi a disposizione per fare uno screeening efficace, la farmacia si è dimostrata una sede importante per arrivare alla popolazione. Un altro punto fondamentale per incoraggiare a fare test è al momento dell’accesso in ospedale e in pronto soccorso. Altrettanto fondamentale è il contributo dei medici di medicina generale (Mmg). Si possono fare mille iniziative, qualsiasi iniziativa è valida”, conclude.

“Solo alcune Regioni hanno avviato delle procedure operative di screening per l’epatite (Hcv) sulla popolazione generale e target nonostante questo rappresenti l’unico strumento altamente costo-efficace per scoprire il sommerso e per raggiungere l’obiettivo dell’Oms di eliminazione dell’epatite C”. Lo ha detto Loreta Kondili, medico ricercatore presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) e responsabile della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti Virali (Piter), nel corso del suo intervento al convegno ‘Screening di popolazione per combattere l’Hcv’, che si è tenuto questa mattina presso la Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.


“Per eliminare l’Hcv, un virus oncogeno responsabile di circa il 70% degli epatocarcinomi in Italia– aggiunge l’esperta- è indispensabile attuare in tutte le regioni un piano di screening con metodi organizzativi più efficienti e reattivi basato su un’adeguata sensibilizzazione e comunicazione della popolazione e del personale sanitario sia per il controllo di malattia che per la riduzione delle infezioni”.

L’ALLARME: “C’È UNA BASSA PERCEZIONE DEL RISCHIO TRA LA POPOLAZIONE

“C’è una bassa percezione del rischio- prosegue Kondili- nella popolazione generale. Non sono solo i tossicodipendenti o solo certe categorie rischiano. Anche i 60 e 80enni che al tempo sono stati trattati con le siringhe di vetro che un tempo venivano utilizzate su più persone, credendo di poterle sterilizzare in acqua bollente, chi ha subito interventi odontiatrici ed estetici persino negli anni 2000 pò essere a rischio di epatite C. Anche coloro che si sono sottoposti a tatuaggi, ai tempi in cui la sterilizzazione non era altissima, dovrebbero fare il test per l’epatite C. Naturalmente è altrettanto importante intercettare i pazienti più giovani o chi ha usato sostanze stupefacenti anche 10 anni fa”.

IMPORTANTE ATTUARE CAMPAGNE DI PREVENZIONE E COMUNICAZIONI

“Esistono due tipi di prevenzione- ribadisce quindi la Kondili- la prima rivolta ai soggetti giovani, davvero importante per prevenire e rompere la catena delle infezioni. Chi appartiene a queste fasce d’età può avere maggiori comportamenti a rischio di trasmissione dell’infezione. Il secondo referente sono i soggetti più anziani, nei quali la prevalenza della malattia è altrettanto alta. In questi soggetti è importante fare diagnosi perché molto spesso intercettiamo la presenza del virus in stadio avanzato quando l’Hcv ha prodotto già dei danni al fegato”. “È essenziale focalizzare lo sguardo, oltre che sulla popolazione generale anche ai veri e propri ‘serbatoi’ dell’infezione e cioè i pazienti dei Serd, i carcerati, immigranti ad alto rischio infezione. Il progetto sperimentale e il relativo fondo che stanzia per 2 anni fondi per lo ‘Screening gratuito Hcv’ va recuperato. Credo che anche i medici di medicina generale debbano essere gli attori nella lotta all’epatite C. Per questo credo anche nello screening opportunistico: proporre il test per rilevare l’epatite C quando ci si screena per Covid o si fa un accesso in ospedale”

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