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Stop a 26.000 maglioni, erano fatti in Cina e venduti come “Made in Italy”

RAVENNA - La Guardia di Finanza di Ravenna ha individuato e

Pubblicato:19-03-2016 14:20
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:25

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lana_modaRAVENNA – La Guardia di Finanza di Ravenna ha individuato e sequestrato 26.000 maglioni acquistati in Cina e messi in commercio dopo aver ‘taroccato’ le etichette, facendo risultare che fossero di produzione italiana. Erano arrivati a Ravenna via nave in due container. Quattro gli indagati: A.Z., imprenditore bolognese di 61 anni, L.S., imprenditore carpigiano di 30 anni e due cittadini di origine cinese, M.B. di 42 anni e X.Z. di 48 anni. Secondo le verifiche dei finanzieri, avevano acquistato dalla Cina due lotti di maglie per un prezzo medio di circa 13 euro a capo. I prodotti, una volta giunti in Italia, sono stati poi abilmente “trattati” sostituendo l’etichetta: e così maglioni da 80 centesimi venivano venduti a 60 euro (prezzo rilevato in outlet), a 90 (in un negozio d’abbigliamento della provincia di Ravenna), fino a 150 euro (in una boutique di Roma nei pressi dei Parioli). Il valore stimato della merce all’importazione era di circa 350.000 euro; la vendita sul mercato avrebbe fruttato circa due milioni e mezzo di euro.

Tutto si è innescato quando, durante il controllo di un container, i militari della Guardia di finanza hanno voluto verificare l’operazione commerciale dichiarata: l’importazione prevedeva l’acquisto di circa 13.000 maglioni composti da lana (al 50%), viscosa (al 40%) e cachemire (al 10%). Il riscontro sulle merci confermava quanto dichiarato nonché la corretta indicazione d’origine, ‘Made in China’, riportata sull’etichetta cucita sul collo. A quel punto la curiosità dei finanzieri è stata però attirata dal filo di cotone che si estendeva oltre la cucitura dell’etichetta, quasi fosse un difetto di produzione. Tirando la parte in eccedenza sembrava poi che l’etichetta si sfilasse, come si staccasse dal collo del maglione.

Fatto sta che, grazie anche alle banche dati informatiche a disposizione della Guardia di finanza, è stata ricostruita la filiera di consegna della merce e tracciati tutti i passaggi commerciali. E così la Procura di Ravenna ha disposto prima le perquisizioni nelle aziende coinvolte (una nota società di capitali della provincia di Bologna da sempre operante nel settore della produzione di maglieria ‘Made in Italy’ ed una società a responsabilità limitata di finissaggio di Carpi) e poi il sequestro dei capi distribuiti e messi in vendita su tutto il territorio nazionale (con esclusione del solo Molise) con la falsa indicazione di provenienza.
Le indagini, svolte in stretta collaborazione con i reparti della Gdf di Bologna e Carpi, hanno permesso di ricostruire anche un’altra importazione di analogo tipo, circa 13.000 maglioni ‘Made in China’ trasformati abilmente ‘Made in Italy’, avvenuta dalla Cina tramite la Dogana di Cavenago di Brianza. Per questa ulteriore scoperta, gli indagati sono stati deferiti alla Procura di Bologna. La falsa indicazione del ‘Made in Italy’ e, in generale, “l’errata informazione sull’origine delle merci danneggiano il mercato, l’imprenditore onesto e il cittadino ingannato sulla reale provenienza delle cose acquistate”, ricorda la Gdf. E dunque stroncare questi traffici serve a “tutelare anche la corretta informazione sulla sicurezza dei prodotti stessi e sulla loro genuinità”. L’importazione a fini di commercializzazione di prodotti con false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine è reato ed è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20.000 euro.


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