ROMA – Stefano Bollani ci ha aperto le porte di casa sua. L’occasione è il suo ritorno nei teatri nella mitica formazione del Danish Trio ( Jesper Bodilsen al contrabbasso e Morten Lund alla batteria). Prima data domani, 15 marzo, al Teatro Grande di Brescia. “Ai concerti jazz si viene senza aspettarsi nulla“, ha detto Bollani all’agenzia Dire. “Suoniamo insieme da 22 anni ma questa volta affrontiamo un repertorio completamente nuovo. Ci siamo inventati dei nuovi brani – ha proseguito – che siamo curiosi di ascoltare noi per primi perché sono degli spunti per poter improvvisare liberamente durante la serata”. Non saranno concerti ma “flussi di coscienza”, ha sottolineato il compositore e pianista.
Facciamo un passo indietro. “Avevo 6 anni quando ho chiesto di fare musica. Non ho mai pensato di fare altro nella mia vita. Ancora oggi sto facendo tutto quello che sognavo da bambino”, ha ricordato Bollani. La musica “mi dà l’opportunità di esprimermi senza usare le parole. Io sono un chiacchierone, quindi la musica mi azzittisce e mi permette di usare una forma di linguaggio meno fraintendibile delle parole“.
La musica, però, dà anche l’opportunità di fare i conti con se stessi. E lo sa bene sangiovanni che, dopo la sua partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo, ha deciso di prendersi una pausa dalle scene. E forse, oggi, la vera rivoluzione è riconoscersi vulnerabili e parlare di salute mentale rompendo ogni tabù. Ma il problema risiede nell’industria musicale? “C’è un sistema nel mondo dell’arte con le sue abitudini, belle o brutte: c’era ai tempi di Picasso e c’è ancora oggi. Puoi starci dentro o starne fuori – ha spiegato Bollani – oppure surfare, come ho fatto, e cercare un equilibrio. La storia del mondo va avanti anche perché esistono dei sistemi e poi esistono i rivoluzionari e gli eretici che ne stanno fuori, servono tutti e due. Io – ha proseguito – sono riuscito a stare fuori dagli schemi imposti da altri perché sono già impegnato a stare negli schemi che mi impongo io stesso“.
Un sogno? “Quello di poter suonare con Louis Armstrong. Beh, magari si realizzerà dopo questa vita”, ha detto Bollani. Dalla musica al cinema. “Se dovessero fare un film sulla mia vita vorrei essere interpretato da Luca Marinelli. Sicuramente si metterebbe a studiare e sarebbe perfetto nel riprodurre i movimenti delle mie mani sul piano”, ha svelato. “Se la mia vita fosse una canzone sarebbe ‘Volare’ di Modugno“.
15 marzo al Teatro Grande di Brescia
16 marzo al Teatro Carlo Felice di Genova
18 marzo al Teatro di Varese di Varese
20 marzo al Teatro Verdi di Pisa
21 marzo al Teatro Nuovo di Spoleto
23 marzo all’Auditorium Giovanni Arvedi di Cremona
25 marzo al Teatro Arcimboldi di Milano
27 marzo all’Europa Auditorium di Bologna
29 marzo all’Auditorium Mont Blanc 500 posti di Courmayeur
I tre artisti si incontrano nel 2002 su iniziativa di Enrico Rava, che li chiama a collaborare in occasione della sua vittoria al Jazzpar, prestigioso premio jazz assegnato a Copenaghen. Da questo incontro parte una collaborazione che culmina con la pubblicazione dei dischi ‘Mi ritorni in mente’ e ‘Gleda’, entrambi usciti per l’etichetta danese Stunt Records, e Stone in the Water, pubblicato dall’etichetta tedesca ECM. A questi album vanno aggiunti ‘Joy in Spite of Everything’ (ECM), inciso a New York con il supporto del chitarrista Bill Frisell e del sassofonista Mark Turner, ‘Close to You’ (Stunt), disco in cui Bollani, Bodilsen e Lund affiancano la cantante danese Katrine Madsen, ‘Mediterraneo’ (ACT) e ‘The music of Sasha Argov’.
“Nel Danish Trio l’ascolto è un elemento centrale – sintetizza Bollani – e ciascuno di noi è, in ogni istante, attento a ciò che gli altri stanno suonando, concentrato sul suono nella sua totalità. Esattamente il mio ideale di gruppo jazz”. Nei live Bollani, Bodilsen e Lund si uniscono per interpretare, improvvisare e creare momenti unici, in grado di trasmettere agli ascoltatori la felicità di vivere la musica senza pregiudizi. E senza una scaletta preordinata. Alla base di tutto c’è sempre la gioia di vivere: quella ‘Gleda’ – come la chiamano i norvegesi – che dà il titolo a uno dei più fortunati album del trio.
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