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All’ospedale italiano al Cairo cure e speranze per le vittime di Gaza

"Cerchiamo di dare tutto l'aiuto possibile" spiega suor Pina De Angelis, missionaria comboniana che al Cairo lavora all'ospedale italiano da 38 anni e si sta occupando di assistere le famiglie

Pubblicato:07-03-2024 11:14
Ultimo aggiornamento:07-03-2024 18:40

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IL CAIRO – “Mamma, dov’è la mia gamba?”. Questa la prima domanda che ha fatto Ahmad, tre anni, quando si è svegliato dopo l’intervento chirurgico. “I medici hanno provato a lungo a salvargliela ma le placche in metallo messe per tenere i legamenti non impedivano il sanguinamento e inoltre aveva due fratture e aveva perso le ossa del ginocchio” racconta la mamma, Jidana, originaria di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. La incontriamo in Egitto, all’ospedale italiano del Cairo, dove Ahmad riceverà la protesi provvisoria messa a disposizione dal ministero della Sanità locale, prima di essere trasferito in Italia tramite i corridoi umanitari promossi dall’Associazione delle organizzazioni di solidarietà e cooperazione internazionale (Aoi) e da vari altri organismi della società civile e istituzioni. Ahmad è uno dei mille bambini che secondo Unicef ha subito l’amputazione di un arto in conseguenza dell’offensiva militare che Israele ha sferrato contro la Striscia di Gaza, dopo gli assalti dei commando di Hamas del 7 ottobre.

“Non ci aspettavamo che avrebbero bombardato le case” dice la madre: “E’ stato di notte, dormivamo”. Dei quattro figli, anche la maggiore di 11 anni ha subito una ferita alla gamba e Jidana stessa si è rotta la caviglia. “Da allora, mia figlia è ricoverata all’ospedale egiziano di Port Said. Non la vedo da più di tre mesi. Sono felice di andare in Italia ma tre settimane fa ho dovuto lasciare gli altri miei due figli di sette e nove anni con mia madre. Vivono in tenda ed è molto difficile sentirli”.
Laggiù “non hanno da mangiare” denuncia ancora Jidana. “Gli aiuti non arrivano, trovano solo cibo in scatola, mancano latte, farina, zucchero. Mia cugina ha partorito due gemelli e non trova i pannolini, un pacco arriva a costare 50 dollari“.

Anche Samar ha quattro figli e in braccio tiene la più piccola di due: lei si chiama Bisan e ha un problema al tratto digerente. Gli altri bambini sono a Dair Al-Balah. “Ha una malattia rara e a causa della guerra abbiamo dovuto interrompere le cure” dice Samar della sua piccolina. “Resterò con lei in Italia per il tempo necessario, ma voglio tornare a Gaza il prima possibile: tutti vogliono tornare a Gaza”. Lo conferma Yasmine, la zia che ha accompagnato Ibrahim, sette anni, anche lui affetto da una malattia rara. Gioca con le bolle di sapone mentre la zia spiega: “Speriamo di curarlo perché anche sua sorella Lara ne era affetta ed è morta, aveva sette anni come Ibrahim oggi. Non aveva più potuto ricevere le medicine a Gerusalemme, e a Gaza sono introvabili”.


Già prima del 7 ottobre gli abitanti di Gaza facevano i conti, da un lato, con un sistema sanitario che non riesce a rispondere a tante necessità e, dall’altro, con il divieto imposto da Israele di lasciare la Striscia. Per spostarsi va chiesta l’autorizzazione al Coordinatore delle attività governative nei Territori (Cogat), un’unità del ministero della Difesa israeliano. Anche in questo caso la domanda è stata inoltrata al Cogat. “Sono gli ospedali che valutano i casi e stabiliscono l’ordine di priorità” riferiscono Samar e Yasmine.
C’è poi l’Egitto. “Cerchiamo di dare tutto l’aiuto possibile” spiega suor Pina De Angelis, missionaria comboniana che al Cairo lavora all’ospedale italiano da 38 anni e si sta occupando di assistere le famiglie. “Una mamma nel viaggio col bambino piccolo ha perso la valigia, non aveva nulla con sé” dice la religiosa. “Le abbiamo subito trovato i pannolini. Una bambina invece quando è arrivata è stata un giorno senza parlare. È bastato dormire di nuovo in un letto vero e fare una doccia che le è tornato il sorriso”.

Nei prossimi giorni l’ospedale italiano – fondato nel 1903, l’unico in Africa ad avere al suo interno sia una chiesa che una moschea – accoglierà altri bambini feriti.
“Israele sta conducendo una guerra contro il settore sanitario” denuncia Marwan Jilani, vicepresidente della Mezzaluna Rossa palestinese (Prcs). “Sanno che la gente resterà finché avrà a disposizione medicine e cure. Vorrei riuscire a descrivere l’immensa pressione e i sacrifici che stanno affrontando i lavoratori nel settore sanitario: si è andati oltre la violazione del diritto umanitario”.

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