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Romania, se nei Balcani arriva la “primavera”

di Giuseppe Zaccaria* per www.ytali.com Le proteste di massa in

Pubblicato:14-02-2017 17:31
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:54

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di Giuseppe Zaccaria* per www.ytali.com



Le proteste di massa in Romania per il momento sembrano essersi un po’ acquetate, anche se non si tratta di una pace ma di un semplice armistizio: il ritiro del decreto salva-ladri da parte del governo Grindeanu e le dimissioni di chi l’aveva promosso, il ministro della giustizia Florin Iordache, per il momento hanno reso più tiepida la piazza, anche se la resa dei conti è soltanto rimandata. E oltre al tappeto di cartacce nelle piazze delle città, questa ventata di furia balcanica lascia in eredità alcune certezze e una sorta di annuncio: per esempio, è evidente l’apertura della fase preagonica per il governo di Bucarest e di una nuova profonda crisi con l’Unione europea.


Se invece vogliamo parlare di tendenze più vaste l’impressione è quella che nell’ intero Sud Est europeo il vento stia cambiando e che si stia approssimando quella che sicuramente qualcuno battezzerà una “Primavera balcanica”.

Fermiamoci subito e cerchiamo di dare senso alle definizioni: le ultime “primavere” che qualche anno fa si erano viste esplodere fuori stagione furono quelle arabe, che vennero definite così soltanto perché si era esaurita la tavolozza delle varie “rivoluzioni colorate” derivate da lunghi lavoro di intelligence e cospicui finanziamenti.

Anche sulle coste mediterranee dell’Africa i servizi segreti di varie nazioni – Francia soprattutto – si erano inseriti nelle proteste di massa cercando di pilotarle, ma poi tutto è finito nei modi miserandi che sappiamo, anche se in quelle sommosse però c’era un elemento che è sopravvissuto sia alle manovre politiche di governi diversi che al terrorismo sunnita, e adesso si ripropone in tutt’altre latitudini e in condizioni diverse.

Qui si parla dell’uso del web e dei social network come moltiplicatori del malcontento, e questo è il primo punto da tenere a mente: anche all’Est la rete sta causando un sobbollimento generale.

Nell’ultimo ventennio, dopo i disastri della ex Jugoslavia, l’Europa Sud Orientale ha goduto di un lungo periodo di pace ma è anche rimasta impantanata in una transizione senza fine: soltanto la piccola Slovenia è stata davvero capace di cambiare marcia, mentre tutti gli altri Paesi dell’area. sia pure in gradi diversi (Bosnia e Kosovo sono in fondo a tutte le classifiche), restano sprofondati nella mancanza di sviluppo e nella povertà. E di conseguenza in tutto il mondo slavo le società post comuniste hanno cominciato a maturare un senso di spoliazione che ormai le accomuna: il sogno occidentale di progresso si è realizzato solo in in parte infinitesima, mentre il patrimonio di tutti gli Stati (industria pesante, attrezzature turistiche e termali, sistema sanitario e così via) o è finito in mani straniere o si è corrotto fino a imputridire.

I redditi sono rimasti bassissimi, la disoccupazione dilaga, l’assistenza statale sta scomparendo, dunque, nella percezione dello slavo medio Occidente comincia a significare povertà,e questo è il secondo punto da annotare.

Ma è intorno al terzo punto che la protesta di questi giorni sembra coagularsi, e questo punto si chiama corruzione. Neanche noi italiani, pur con la grande esperienza in materia, siamo davvero in grado di immaginare cosa abbiano prodotto nel Sud Est Europa il crollo della politica e l’irrompere selvaggio dei capitali, ormai in ogni settore della vita non esiste mossa che non sia determinata dalle mazzette, dalla promozione all’esame universitario alle cure mediche, e su per li rami. Venerdì scorso a Belgrado per la prima volta uomini dell’esercito e della polizia sono scesi in piazza assieme per protestare: erano più di un migliaio e non ce l’avevano solo con i salari bassi e le pessime condizioni di lavoro, ma denunciavano chi continua a lucrare sull’acquisto di razioni, uniformi e scarponi.

Ma se in Serbia la protesta rimane circoscritta, nelle stesse ore si cominciano a percepire segnali di rivolta anche a Tirana, Sofia, Sarajevo, Podgorica. La rete dei social media ha cominciato a mobilitarsi per manifestare solidarietà ai rumeni scesi in piazza, e questo sembra solo il primo passo, visto che gli avvenimenti di Romania adesso minacciano di agire da detonatore anche per scatenare proteste contro altri governi. In Albania, per esempio. Lulzim Basha, che a Tirana guida il Partito democratico di opposizione, definisce i moti di Bucarest come “un esempio di coraggio popolare che noi albanesi dobbiamo seguire per unirci nella protesta”. Anche gli albanesi si stanno misurando con una riforma del sistema giudiziario che rischia di annullare gli ultimi brandelli di libertà, “anche da noi giudici e procuratori stanno tentando di decriminalizzare la corruzione, non vogliono riformare il sistema ma solo proteggere i politici”, continua Basha.

A sua volta, la Bulgaria fa registrare le prime proteste, che per il momento si tengono di fronte alle sedi diplomatiche rumene per manifestare appoggio ai dimostranti al grido di “uniti contro la corruzione”. In Montenegro il leader dell’opposizione, Nebojša Medojević, dichiara che “i rumeni hanno dimostrato che la scelta delle proteste di massa è la sola possibile per combattere i ladri al potere”, e da Sarajevo perfino il rappresentante speciale dell’Unione europe, Lars-Gunnar Wigemark si chiede sconsolato: “E allora, cosa dobbiamo aspettarci in Bosnia?”.

Insomma, il contagio comincia a diffondersi, anche se questo non sembra un movimento del tutto spontaneo. Per avere prova di certe sensazioni bisognerebbe avere accesso alle stanze più segrete dei poteri continentali, ma quel che si può avvertire dall’esterno con ragionevole certezza, è che nei Balcani il confronto non fra Ue e Russia, ma fra singoli Paesi europei e Mosca si fa sempre più serrato, e forse sta arrivando al punto di svolta.

A grandi linee, qui si ragiona già come se l’Unione europea non ci fosse più mentre gli interessi di Berlino, Londra e Parigi ricominciano a pesare (Roma, come sempre, osserva da un angolo). Ciascun Paese persegue i suoi interessi come meglio può, anche la finanza internazionale sembra aver riscoperto i Balcani come area di investimento privilegiata, perché in questa parte del mondo c’è bisogno di tutto. Per fare grossi investimenti però c’è bisogno di stabilità politica, e questa c’è solo in Serbia, mentre dove non c’è bisogna ottenerla. Dietro l’improvvisa rivolta contro la corruzione sembra esserci anche questo calcolo. Nuove puntate sono attese a breve.


*Giuseppe Zaccaria, per trent’anni inviato di Esteri a “La Stampa”, ha seguito tutti i principali conflitti di questa lunga stagione e continua a occuparsi di Balcani, Medio Oriente e Unione europea

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