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A Genova applausi e cori dopo 16 anni, ‘Carlo vive’. Il padre: Perchè Carabinieri mai perseguiti?

Oggi in piazza Alimonda, a 16 anni dall'assassinio di Carlo Giuliani, si sono ritrovate alcune centinaia di persone

Pubblicato:20-07-2017 16:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:33

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GENOVA – Oltre due minuti di applausi scattati alle 17.27, momento esatto della sua morte, il coro “Carlo è vivo e lotta insieme a noi. Le nostre idee non moriranno mai” e l’immancabile “Bella Ciao“. Così Genova, a 16 anni dal suo assassinio, ricorda Carlo Giuliani, il giovane no global genovese ucciso da un colpo di pistola del carabiniere Mario Placanica il 20 luglio 2001 in piazza Alimonda durante una delle manifestazioni contro il G8. In piazza assieme ad alcune centinaia di persone, oltre ai genitori di Carlo, Giuliano e Heidi Giuliani, anche Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa Social Forum, il deputato di Mdp, Arturo Scotto, il consigliere regionale ligure di Rete a Sinistra, Gianni Pastorino, il rappresentante della Comunità di San Benedetto al Porto, Domenico Chionetti, il segretario regionale dell’Arci, Walter Massa.

GIULIANI: PERCHE’ CARABINIERI MAI PERSEGUITI?

Ho apprezzato le parole di Franco Gabrielli, ho apprezzato quando ha detto che Gianni De Gennaro avrebbe dovuto dimettersi. Il problema è che queste dimissioni non sono mai arrivate, anzi sono arrivate promozioni successive in base alle quali oggi De Gennaro è presidente della più grande industria pubblica italiana, Finmeccanica, cosa assolutamente incomprensibile da qualunque persona normale”. Così Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il giovane no global genovese ucciso da un colpo di pistola del carabiniere Mario Placanica 16 anni fa in piazza Alimonda durante una delle manifestazioni contro il G8, parlando con la stampa oggi pomeriggio durante la commemorazione del figlio. Per Giuliani il problema non riguarda solo la Polizia, quanto piuttosto i Carabinieri.


Sono convinto che esistano reparti dei Carabinieri che rappresentino qualche rischio per la democrazia– afferma il padre di Carlo- e la dimostrazione c’è stata anche lo stesso 20 luglio di 16 anni fa quando un’intera brigata alla Foce cantava ‘faccetta nera’ senza che nessuno facesse niente. Le generalizzazioni sono la cosa più sbagliata ma credo che si dovrebbe agire responsabilmente nei confronti di chi, con addosso una divisa, disonora non solo se stesso ma il corpo al quale appartiene e lo Stato che rappresenta”.


Giuliani da anni porta avanti la tesi che “l’omicidio di Carlo non sia stato un caso” ma frutto “di una trappola combinata dei Carabinieri, come la sera stessa del 20 luglio 2001 disse una delle persone più degne di questo Paese, don Andrea Gallo: quella ritirata improvvisa dei Carabinieri dopo un falso attacco a una ventina di manifestanti poteva essere considerata un’imboscata”. Giuliano Giuliani è un fiume in piena: “I Carabinieri hanno combinato quello e altri guai ma non vengono mai perseguiti, cosa che invece per i poliziotti qualche volta succede. L’omicidio di Carlo non è stato ritenuto degno nemmeno di un processo”. E le persone che a 16 anni di distanza tornano in piazza Alimonda, sottolinea il padre di Carlo, dimostrano che “tanta gente insieme a noi vuole almeno la verità, se non la giustizia“.


SCOTTO (MDP): ORA LEGGE PER IDENTIFICAZIONE POLIZIOTTI

“È giusto essere qui con una delegazione di Articolo 1 per rendere omaggio a Carlo Giuliani. Questa non è solo una piazza della memoria ma è una piazza che aggiorna una lotta per la verità“. Così Arturo Scotto, deputato di Mdp – Articolo 1, oggi pomeriggio a Genova in piazza Alimonda alla commemorazione di Carlo Giuliani. “Le parole pronunciate dal capo della polizia Gabrielli sono molto importanti perché restituiscono ad una intera generazione che sfilava per le piazze di Genova il diritto alla giustizia– prosegue il parlamentare- adesso occorrono alcune scelte come riaprire il tema di una Commissione di inchiesta sui fatti del G8 per fare quella riforma attesa da anni che introduce il numero di identificazione sui caschi dei poliziotti”.

di Simone D’Ambrosio, giornalista professionista

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