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Giovannino, la pediatra: “Ittiosi di Arlecchino malattia rarissima, solo un caso su un milione”

L'esperto interviene sul caso di Giovannino, il bambino di 4 mesi abbandonato dai genitori naturali perché affetto dall'ittiosi di Arlecchino

Pubblicato:07-11-2019 17:39
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:56

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ROMA – È fresco di questi giorni il caso di cronaca che riguarda Giovannino, il bambino abbandonato dai genitori naturali, di soli 4 mesi, poiché affetto dall’ittiosi di Arlecchino. Anche lui fa parte dei minori con esigenze medicalmente complesse, che il 30 novembre saranno al centro del convegno ‘Un bambino speciale’ promosso a Roma dal Sindacato italiano degli specialisti pediatri (Sispe), nella Sala congressi di via Rieti.

Cos’è l’ittiosi di Arlecchino? “È una malattia rara, se non rarissima. Si stima circa un caso su un milione e colpisce a prima vista la pelle”. Lo spiega alla Dire Teresa Mazzone, presidente Sispe, che aggiunge: “Giovannino, infatti, presenta una serie di squame e da qui deriva il nome di Arlecchino. Oltre a ciò, questa patologia rarissima comporta delle gravi problematiche respiratorie che inficiano la possibilità di sopravvivenza fin dalle primissime settimane di vita”.

L’ittiosi di Arlecchino “ha una terapia di tipo sintomatico ed è rarissima. Per questo non esiste una terapia risolutiva, come accade per la stragrande maggioranza delle patologie rare”.


Giovannino, però, “per ora ce l’ha fatta e non resta che aspettare che una famiglia se ne faccia carico”, ricorda Mazzone. La famiglia che lo adotterà, riflette Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), al livello psicologico “sarà più semplice da supportare in virtù dell’atto volontario che questa coppia farà nell’andare incontro a una situazione tanto complessa. Già si sentono le energie positive di questa coppia, per loro già c’è una grande spinta auto-supportiva”.

Giovannino diverrà uno dei tanti bambini con bisogni complessi, con tutte le difficoltà che ne conseguono: tra ospedali, territorio e famiglia. Ed è proprio sulla costruzione della rete sociale attorno alle famiglie di questi bambini, che sarà incentrato il congresso Sispe il 30 novembre nella Capitale.

Le persone affette in Italia da una malattia rara sono circa 780 mila, ma si tratta di un numero ancora sottostimato. Si aggiunga che i bambini con malattie rare rappresentano solo una fetta di quelli con disabilità complesse. I minori con queste necessità possono infatti essere dei “neonati pretermine che hanno avuto problematiche di asfissia perinatale al momento della nascita- precisa Mazzone- o delle emorragie cerebrali con un reliquato neurologico importante, quale può essere una tetraparesi”. In genere sono bambini che hanno in comune un bisogno di “assistenza per necessità respiratorie o di alimentazione via peg”.

Ma tra loro ci sono anche grandi differenze, legate “alle specifiche caratteristiche delle singole patologie, solitamente molto rare, sconosciute, che spesso dunque portano a navigare a vista”, sottolinea la pediatra.

Questi bambini, inoltre, possono nascere da fecondazioni eterologhe e, a detta di Castelbianco, “le gravidanze dopo una certa età, sia per gli uomini che per le donne, sono pratiche che lasciano abbastanza perplessi. Sono esorbitanti anche negli Stati Uniti, infatti, le percentuali di bambini nati con difficoltà. E questo dovrebbe essere detto più spesso”.

I problemi derivanti dalle fecondazioni, però, “possono sorgere soprattutto quando ci sono state madri in cui è stata sollecitata l’ovulazione, come cicli di terapia ormonale. Ma è necessario sottolineare che un parto pretermine non è necessariamente legato a un’eterologa”, chiosa la presidente Sispe.

Il criterio da adottare, a detta dello psicoterapista dell’età evolutiva, “è quello di dare la vera spinta non al supporto della donna che a 50 anni vuole avere un figlio. Bensì a quelle coppie che vogliono adottare i bambini”. Facilitando e incrementando le adozioni “avremo molti meno problemi e sarebbe molto più riconosciuto il senso civico e umano”.

È difficile pensare “che sia un atto d’amore verso il figlio, quello di una donna che vuole una gravidanza a 50 anni, o di un uomo a 60. Questo è piuttosto un atto di narcisismo verso se stessi. E ciò va ribadito- aggiunge Castelbianco- poichè altrimenti si alimenta la visione per la quale ‘Come sono stati bravi ad avere un figlio a 60 anni'”.

Ci sono già quasi un milione di bambini in Italia che hanno bisogni speciali. “Non possiamo pensare di dover supportare anche dei futuri orfani di genitori troppo anziani. Questo non sembra proprio giusto- conclude- né come società civile né in quanto esperto professionale”.

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