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Il Canada rimpatria dalla Siria quattro fra ex combattenti dell’Isis e familiari

C'è anche Kimberly Polman, moglie di un miliziano le cui condizioni di salute preoccupavano anche le Nazioni Unite

Pubblicato:27-10-2022 18:30
Ultimo aggiornamento:27-10-2022 18:30
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ROMA – Dopo una lunga campagna di ong e organizzazioni internazionali, il Canada ha rimpatriato due donne e due bambini da un campo di detenzione per ex combattenti del gruppo Stato islamico (Isis) e per i loro familiari nel nord-est della Siria. A confermare l’operazione è stato il primo ministro di Ottawa Justin Trudeau, che ha ringraziato le autorità siriane per “gli sforzi nel fornire assistenza alle persone detenute in una situazione di sicurezza estremamente difficile e in circostanze avverse”.
I campi siriani dove si trovavano queste persone sono gestiti dalle Forze democratiche siriane (Sdf), braccio armato dell’amministrazione del nord-est, composta per lo più da movimenti curdi e non riconosciuta dalla comunità internazionale.

Stando a quanto riferito dalla polizia federale canadese una delle due donne, Oumaima Chouay, 27 anni, è stata arrestata al suo arrivo all’aeroporto di Montreal sulla scorta di accuse legate al terrorismo. La giovane è stata trasferita in Canada con i due figli, rispetto ai quali non sono state divulgate notizie.

L’altra persona rientrata nel Paese nordamericano è Kimberly Polman, moglie di un militante dell’Isis che è stata rimpatriata nell’ambito di un’operazione di “assitenza speciale“, viste le sue condizioni di salute estremamente precarie. Da mesi anche le Nazioni Unite chiedevano che la donna fosse portata fuori dalla Siria.


NEI CAMPI DI DETENZIONE SONO 65MILA

Al momento, stando a quanto riferiscono ong internazionali e fonti del governo degli Stati Uniti, nei due campi della Siria nord-orientale dove sono tenuti gli ex combattenti Isis e i loro familiari ci sono circa 65mila persone, 10mila nel campo di al Roj e 56mila nel campo di al Hol. Circa due terzi dei detenuti sarebbero minori, mentre circa 12mila persone sarebbero “foreign fighters” e loro familiari. Con questa formula ci si riferisce ai miliziani che non provengono dalla Siria e l’Iraq, spesso da Paesi occidentali, e che si sono uniti all’Isis durante la sua offensiva nei due Paesi, condotta fra il 2014 e il 2017.

Diverse organizzazioni internazionali, come l’ong Save the children, hanno più volte chiesto alla comunità internazionale di facilitare i rimpatri da queste strutture, le cui condizioni sono ritenute non compatibili con il rispetto dei diritti fondamentali delle persone.

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