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Ucraina, Marmorale (Mediterranea): a Leopoli stigma e disagio

Il capomissione della Ong alla Dire: "Il rischio è la normalizzazione del malessere"

Pubblicato:25-02-2024 17:07
Ultimo aggiornamento:25-02-2024 17:07

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ROMA – “In Ucraina, almeno a Leopoli, la sensazione è che stia avvenendo una normalizzazione del disagio”. Con l’agenzia Dire parla Laura Marmorale, ex assessora del Comune di Napoli, ora capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ong, fondata per salvare i migranti nel Mediterraneo centrale, dal 24 febbraio del 2022 ha deciso di dedicarsi anche all’Ucraina. Base del programma ‘Med Care’ per fornire sostegno medico a residenti e sfollati è la città occidentale di Leopoli, quella che più sembrava distante dagli attacchi russi. Ma oltre a non essere rimasta indenne, la città tra le più prossime ai confini dell’Unione Europea è anche quella che ha ricevuto il più consistente afflusso di profughi da ogni area del Paese, determinando una pressione non indifferente. Sono 250mila gli sfollati interni nella regione secondo dati dell’Unhcr, con picchi di 600mila nei periodi più acuti del conflitto. “Oggi però, molti restano nelle strutture istituzionali” avverte Marmorale, “pur avendo trovato lavoro e iscritto i figli a scuola o a sport”.

A fare la differenza, è il background economico di chi è dovuto fuggire dai bombardamenti: “Chi aveva una condizione economica buona riesce a reinserirsi nella società. Ma chi è scappato lasciando tutto, oppure già non aveva molte risorse, subisce lo stigma sociale e la sua condizione peggiora”. Le autorità ucraine hanno stanziato un fondo per le famiglie sfollate, ma non basta a coprire tutte le necessità, e “lontani dalla famiglia e dalla propria rete sociale, il rischio è che ci si impoverisca ancora di più”, avverte Marmorale. Sono queste persone a essere ospitate nelle strutture di accoglienza informali come parrocchie, enti religiosi o case private, che rischiano di non riscattarsi dalla condizione di sfollati.
La situazione, continua la capomissione di Mediterranea, “peggiora per i russofoni e gli esponenti della minoranza rom”, che già subiscono discriminazioni e hanno maggiori difficoltà a trovare una casa e un lavoro.

E Leopoli? “Resta una città bellissima” assicura l’attivista, “ma il cimitero cittadino continua a crescere. La religione ortodossa prevede inumazioni solo a terra, quindi l’allargamento è visibile: è la generazione di ragazzi e ragazze tra i 20 e 30 anni”, tra chi è morto negli attacchi ma, soprattutto, è caduto al fronte. Nonostante le difficoltà, “la popolazione resiste, ma ogni volta che torniamo – circa tre o quattro volte all’anno – percepiamo meno ottimismo nei discorsi delle persone”. Il pensiero è concentrato sulla guerra che non finisce, ma anche sul dopo: “C’è un Paese enorme da ricostruire”, avverte la capomissione, “intere città e villaggi sono stati rasi al suolo, migliaia di giovani sono morti, l’identità nazionale è messa in discussione”. Sebbene sembrasse che la guerra avesse compattato il senso di unità, senza particolari problemi verso gli ucraini che parlano anche il russo, ora secondo Marmorale “sembra inconcepibile parlare quella lingua”, che pure è diffusa lungo le regioni di confine con la Federazione. “Il rischio è che una volta finito il conflitto, questo diventi un motivo di divisione sociale”.


Il Paese entra però nel terzo anno di guerra e bisogna fare i conti con le necessità urgenti: “Abbiamo aumentato la capacità di assistenza sanitaria a persone che non hanno accesso alla sanità pubblica, oppure che non riescono a permettersi medicinali o esami neanche con la prescrizione”. Tramite ‘Med Care’, conclude Marmorale, “garantiamo visite e terapie farmacologiche; supportiamo anche le strutture d’accoglienza informali, spesso lasciate alla generosità dei cittadini, portando pacchi alimentari, abiti caldi e prodotti per l’igiene personale”.

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