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‘Vittoria e Abdul’, storia di un’amicizia?

Al cinema dal 26 ottobre. La recensione del film

Pubblicato:23-10-2017 13:43
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:49

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ROMA – Dopo lo splendido “Philomena”, la coppia artistica formata dall’attrice inglese Judi Dench e dal regista Stephen Frears torna insieme con “Vittoria e Abdul”. Presentato fuori concorso durante la 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film, ispirato ad eventi realmente accaduti, uscirà nelle sale italiane il 26 ottobre 2017.

Trama

E’ il 1887 quando il giovane commesso indiano Abdul Karim (Ali Fazal) arriva in Inghilterra in occasione del giubileo d’oro della regina Vittoria (Judi Dench), per porgere a sua Maestà un omaggio della sua terra. Dall’incontro tra i due nasce inaspettatamente una profonda amicizia che porterà la regina a conoscere un universo a lei ignoto e a rivedere molte sue posizioni. Ciò creerà non pochi dissapori all’interno della corte britannica. Mentre Abdul diventa un vero e proprio maestro (“Munshi”) per sua Maestà, quest’ultima dovrà battersi strenuamente per difendere la loro amicizia.

La recensione

A quasi vent’anni da “Shakespare in Love”, Judi Dench torna a sedere sul trono di Inghiliterra, interpretando una discendente di quella regina Elisabetta scorbutica e capricciosa, che tanta paura incuteva nei teatranti cinquecenteschi. La regina di “Vittoria e Abdul” al contrario è una donna anziana, sensibile e profondamente reale, affamata di cibo, conoscenza e amore. Una donna sola, prima che un personaggio politico a capo dell’impero più potente del mondo, magistralmente interpretata da Judi Dench e di cui il film ci fornisce un perfetto ritratto.


Una fragilità e umanità, quella della regina, che emergerà grazie all’incontro con Abdul. Se da una parte a spingerla verso il ragazzo indiano c’è il desiderio di conoscere una cultura diversa e un continente di cui, pur essendo regnante, Vittoria non sa praticamente nulla, dall’altro è sicuramente il bisogno di affetto, di un rapporto disinteressato che la farà avvicinare al servitore indiano.

E proprio sulla genuinità di questo rapporto ruota in realtà tutta la narrazione. Se il primo commento che farà Vittoria riguardo ad Abdul riguarderà infatti il suo bell’aspetto, dall’altra parte anche il giovane non mancherà di esaltare il rapporto con la regina che dichiarerà essere più importante di quello con sua moglie.

Il dubbio che matureranno i famigliari della regina è quello che immancabilmente sorge anche nello spettatore che, mano a mano che la narrazione prosegue, non può evitare di provare uno senso di straniamento generato dal rapporto borderline tra i due. Un’amicizia di cui il film non restituisce la genuinità fino in fondo (se presente) insinuando un dubbio nello spettatore.

Ben più interessante del rapporto umano tra i protagonisti risulta invece l‘incontro tra due mondi tanto differenti da ogni punto di vista. Si scoprirà infatti che Abdul non solo appartiene a una classe sociale e un contesto culturale differenti dalla regina, ma anche che la sua fede religiosa è quanto di più lontano possa esistere dal cristianesimo. Ritenuto inizialmente induista, Abdul si scoprirà essere, con grande sorpresa della corte, musulmano. Della sua cultura, lingua e religione il servitore si farà portavoce, tanto da affidare la regina ad Allah al momento della sua dipartita.

La storia che la monarchia britannica cercò di eliminare

Con quest’opera Frears riporta alla vita una storia curiosa, interessante e sconosciuta ai più, visto che tutte le testimoniante che riguardavano l’amicizia tra la regina e il suo “Munshi” furono distrutte dalla famiglia reale dopo la morte della sovrana. Tutte tranne una. Fonte di ispirazione per il libro di Shrabani Basu, da cui è stata realizzata la sceneggiatura del film, è stato un diario, scritto dallo stesso Abdul, sfuggito ai figli della regina all’epoca dei fatti e rinvenuto soltanto  qualche anno fa.

Il film ricostruisce questa amicizia fuori dagli schemi in maniera accattivante e dissacrante, per quanto concerne la figura della regina, smantellando gli stereotipi e l’immaginario collettivo legati alla sua figura. Un racconto che con lo scorrere dei minuti però si fa sempre più convenzionale e meno interessante, a tratti sdolcinato e quindi in qualche modo in conflitto con le strizzatine d’occhio fornite dal regista, tanto da renderlo poco credibile e da impedire allo spettatore di trovarne una vera e propria chiave di lettura.

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