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Lavoro under 18, genitori indulgenti: metà di loro giustifica l’abbandono della scuola

ROMA - Oltre la meta' delle mamme e dei

Pubblicato:23-09-2015 13:13
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:34

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ROMA – Oltre la meta’ delle mamme e dei papa’ ritiene che le difficolta’ economiche possano giustificare almeno in parte l’abbandono della scuola e l’ingresso nel mondo del lavoro di un figlio che non abbia ancora compiuto i 16 anni. Contro la tolleranza che, complice la crisi, si sarebbe fatta strada fra gli italiani riguardo al lavoro minorile, l’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paido’ss) e l’Anmil (Associazione nazionale mutilati invalidi del lavoro) lanciano un allarme in occasione del secondo Forum Internazionale dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia (“Figli di un lavoro minore”), che si apre domani a Lecce e andra’ avanti fino al 26 settembre.

L’indagine, che viene definita “shock”, e’ stata condotta per Paido’ss da Datanalysis e si base sulle interviste a mille genitori (mamme o papa’, solo uno per ciascun nucleo familiare) rappresentativi della popolazione generale italiana: le interviste sono state effettuate nel novembre 2014. Solo il 34% per campione si dice a conoscenza che ci siano ragazzi under 16 che lavorano, e oltre 7 su dieci basano questa loro conoscenza su internet, radio, televisione e giornali. Alla domanda se la crisi economica che il nostro paese sta vivendo possa giustificare che un minori lasci la scuola per andare a lavorare, il 9,7% risponde di si in ogni caso, il 23,9 di si nella maggioranza dei casi, il 20,8% solo in alcuni casi. Complessivamente, il 54,4% degli intervistati giustifica il lavoro minorile, con il 34,6% che non lo ammette mai e l’11% che si rifugia in un “non saprei”. Solo il 34% delle mamme e dei papa’ costringerebbe a restare sui banchi un figlio intenzionato a lasciare la scuola per lavorare, impedendogli una scelta dannosa per la sua vita: uno su quattro accetterebbe la decisione pur ritenendola un errore, uno su cinque la considera una volonta’ da rispettare comunque. Il 30% dei genitori italiani pensa che il lavoro minorile in Italia riguardi solo gli stranieri, il 55% lo considera un dramma dei Paesi sottosviluppati, il 40% ignora che esistano piccoli sfruttati anche entro i nostri confini.

Sulla scia dell’indagine campione, Paido’ss e Anmil rilanciano i dati conosciuti sul fenomeno del lavoro minorile parlando di 280 mila under 16 italiani che lavorano per oltre un milione di ore ogni giorno: 30 mila sono a rischio sfruttamento perche’ impiegati in lavori pericolosi o che possono compromettere molto seriamente il loro sviluppo, ad esempio perche’ costretti a stare svegli di notte o a non andare a scuola. Si tratta dei dati dell’ultima rilevazione sul tema, un’indagine 2012 di Save the Children (che parlava piu’ precisamente di 260 mila under 16 lavoratori, cioe’ un minore su venti).


“L’idea che iniziare la gavetta presto possa aiutare i ragazzi a inserirsi meglio nel mondo del lavoro – spiega Giuseppe Mele, presidente Paido’ss – e’ falsa e fuorviante, un modo utile soprattutto a nascondersi ipocritamente di fronte alla realta’: lavorare prima dei 16 anni e’ un furto dell’infanzia, mette a rischio la salute e il benessere psicofisico e non aiuta a trovare meglio lavoro. Le stime indicano addirittura che un bambino costretto a lavorare prima del tempo avra’ il doppio delle difficolta’ per trovare un impiego dignitoso, da adulto”.

Il lavoro minorile – aggiunge Mele – di fatto non viene condannato senza se e senza ma, come sarebbe giusto: cosi’, se da una parte oltre l’80 % ritiene che il lavoro minorile “rubi” ai ragazzini la formazione scolastica, l’infanzia e una normale crescita psicofisica, si scopre che a tutto questo si puo’ rinunciare di fronte alle nuove necessita’ imposte dalla crisi economica, ritenuta la principale responsabile degli abbandoni scolastici da un genitore su tre. Ma ogni bambino ha il diritto di essere protetto dallo sfruttamento economico, in qualunque sua forma”.

“Il lavoro minorile – dice Claudio Mencacci, past president della Societa’ Italiana di Psichiatria e direttore del Dipartimento di Salute Mentale del Fatebenefratelli di Milano – ha mille sfaccettature, ma una caratteristica comune: mette a rischio lo sviluppo psicofisico dei ragazzi. Ruba tempo che andrebbe impiegato diversamente: stare con gli amici, studiare, leggere, fare sport sono le attivita’ giuste per i minori, quelle che aiutano il loro fisico ma ancor di piu’ il loro cervello a svilupparsi nel migliore dei modi, in pieno benessere. Togliere le occasioni di riposo, svago, sport, apprendimento significa aumentare il rischio di disagi psicologici e disturbi dell’umore una volta diventati adulti: ansia, stress ma anche una mancata adeguata “costruzione di se'” possono minare il benessere mentale futuro di questi ragazzi costretti a crescere troppo in fretta, magari sotto la pressione della necessita’ di contribuire a far quadrare i bilanci familiari dissestati dalla crisi”.

“Purtroppo c’e’ una diffusa mancanza di consapevolezza della pervasivita’ e delle conseguenze del lavoro minorile – aggiunge la sen. Camilla Fabbri, presidente della commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro – L’istruzione nell’infanzia non puo’ essere sostituita con il lavoro: gli impieghi dei minori non hanno mai “valore” e soprattutto negano un diritto umano, il diritto a una crescita personale, sociale e morale in serenita’ che ciascuno deve avere. Il lavoro minorile non e’ mai positivo”.

E i minori che lavorano in violazione delle norme che li tutelano da impieghi a rischio si trovano spesso – aggiunge Franco Bettoni, presidente nazionale Anmil – in situazioni che li pongono in pericolo. Non sono purtroppo rari i casi in cui ragazzini sono costretti a lavorare alla sera, rinunciando a ore di riposo ed esponendosi a una maggior probabilita’ di malattie come obesita’, diabete, tumori (estrapolando dai dati sulla mancanza di sonno..); soprattutto, molti maneggiano assiduamente sostanze chimiche tossiche, pensiamo ad esempio ai piccoli impiegati in negozi di parrucchiere o come calzolai, meccanici, braccianti agricoli. Ci sono ragazzini che svolgono lavori in cui si devono utilizzare oggetti taglienti o attrezzi pericolosi, altri che aiutano in cantieri edili dove il rischio di incidenti e’ considerevole: tutto questo incrementa moltissimo la probabilita’ che un piccolo lavoratore si faccia seriamente male, con conseguenze che possono in alcuni casi compromettere tutto il resto della vita”.

La “ricetta” per contrastare il lavoro minorile riporta in primo piano proprio il ruolo degli insegnanti e della scuola. “La scuola – conclude Mele – deve essere protagonista del processo di crescita dei ragazzi e puo’ diventare un antidoto efficace allo sfruttamento dei minori: le ore in classe non devono essere vissute come tempo perso ma come un periodo prezioso utile alla propria crescita sociale, culturale, personale: solo cosi’, avendo ben chiaro il valore dell’istruzione, diventera’ piu’ facile opporsi al richiamo del lavoro minorile. Anche in tempi difficili come quelli attuali”.

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