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Brittney Griner racconta il carcere russo, “tra sangue e ragni: volevo suicidarmi”

La superstar del basket femminile: "Per tornare a casa mi hanno costretto a chiedere perdono a Putin"

Pubblicato:02-05-2024 15:27
Ultimo aggiornamento:02-05-2024 15:27

Griner
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ROMA – Brittney Griner per tornare a casa, negli Stati Uniti, ha dovuto scrivere una lettera a Putin. Per chiedergli perdono. Per ringraziarlo. Aveva appena passato 10 mesi nelle prigioni russe. Lei, la superstar del basket femminile mondiale. Un caso diplomatico internazionale: oggi gioca per i Phoenix Mercury, è nove volte Wnba All-Star, ha vinto due medaglie d’oro olimpiche con la nazionale americana. E’ come se, insomma, avessero arrestato LeBron James, e l’avessero buttato in un carcere russo per quasi un anno. Una donna nera e omosessuale al suo secondo matrimonio, un’orgogliosa attivista LGBTQ+. 

Racconta oggi in un’intervista alla Abc (il suo libro di memorie, “Coming Home”, uscirà il 7 maggio) che in carcere ha pensato più volte di suicidarsi. Non l’ha fatto, dice, solo perché temeva che non avrebbero ridato il corpo alla famiglia.

“Ho più volte pensato di uccidermi, nelle prime settimane in prigione. Il materasso aveva un’enorme macchia di sangue. Ti danno queste due lenzuola sottili, quindi praticamente ti sdrai sulle sbarre. La metà dello stinco fino ai piedi è incastrata tra le sbarre, ma non vuoi davvero infilare le gambe e le braccia nelle sbarre, perché qualcuno sale le afferra e te le spezza”.


Griner era molto conosciuta in Russia prima del suo arresto, aveva vinto diversi titoli nazionali con l’Ummc Ekaterinburg. In prigione rra conosciuta come “The American” e “The Basketball Player”. La sua seconda prigione, IK-2, era un duro campo di lavoro. Ha raccontato che le veniva dato un rotolo di carta igienica al mese e un dentifricio vecchio di più di dieci anni: lo usava per eliminare la muffa dalle pareti della sua cella. “C’erano dei ragni sopra il mio letto che facevano i nidi nei capelli. Devi fare quello che devi fare per sopravvivere. Mi hanno fatto scrivere questa lettera. Era in russo. Ho dovuto chiedere perdono e ringraziare il loro cosiddetto grande leader. Non volevo farlo, ma allo stesso tempo volevo tornare a casa”.

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