(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 27 giu. - "Non approvando la legge rischiamo di creare degli apolidi istituzionali, delle persone prive d'identita'. Crescendo non comprenderanno i motivi per cui, nonostante si sentano italiani e condividano esperienze, attivita' ed emozioni con i loro compagni di classe, sono condannati a questa deminutio cosi' importante". Lo dichiara all'Agenzia Dire Michele Karaboue, docente di Diritto Pubblico e Diritto dell'Immigrazione all'Universita' Niccolo' Cusano di Roma, commentando la querelle tutta politica sullo Ius soli.
"Mi rifaccio alle parole del monsignor Nunzio Galantino- aggiunge il professore- secondo cui tre italiani su quattro sono favorevoli a questa legge. Il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha poi sostenuto che e' un atto di grande irresponsabilita' fare speculazione politica su un tema cosi' importante. Chi respinge questa legge lo fa solo per questioni elettorali".
Per Karaboue, che si occupa dei temi legati all'integrazione e ai percorsi di integrazione delle seconde generazioni, "la colpa e' di chi crea percorsi repressivi e non inclusivi. Credo sia meglio delineare e normare un percorso piuttosto che darla vinta agli estremismi, da qualunque direzione essi provengano. Lo Ius soli 'temperato'- sottolinea- e' una buona legge, basata su un presupposto che condivido: la cittadinanza, per essere concessa, deve avere un percorso di compartecipazione e adesione al sistema culturale del Paese".
Inutile per Karaboue fare paragoni con il modello americano, dove vige lo ius soli "puro", o con la gran parte dei Paesi europei, che regolano il principio di cittadinanza con lo ius sanguinis.
"La nuova legge italiana- evidenzia- introdurrebbe due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima della maggior eta': il diritto legato al territorio e quello legato all'istruzione. E se un bambino nasce e va a scuola in Italia, come si fa a dirgli, quando compie 18 anni, che non ha elettorato attivo e passivo? In questi giorni stiamo vedendo, o meglio vivendo, le tante testimonianze dei figli dell'Italia, nati da immigrati, che conoscono benissimo i dialetti, le usanze e le tradizioni del Paese in cui sono nati. Meritano che questo loro diritto venga riconosciuto. È una questione di civilta'- conclude il docente- e non piu' una questione legata a una singola bega politica o a uno zero-virgola che un partito deve prendere facendo la lotta contro i piccoli cittadini nati in Italia".
Qui e' possibile leggere l'infografica della Dire su come diventare cittadini in Italia e nel mondo.
(Wel/ Dire)