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Cannabis, l’esperto ai giovani: “Gli effetti non sono acqua fresca”

Se ne è parlato in una tavola rotonda al Congresso Sif (Società italiana di Farmacologia)

Pubblicato:31-10-2017 11:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:50

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ROMA – “Se esiste un rischio per i più giovani che possa passare un messaggio sbagliato sulla cannabis? La legge da questo punto di vista è chiara: la cannabis deve essere prescritta da un medico, che deve prendersi la responsabilità di prescriverla per un paziente che ne ha bisogno. Nel caso dovessimo invece avere una diffusione abnorme della cannabis, per un uso non terapeutico, noi abbiamo una serie di reati e in questo caso a commettere il reato è il medico che la prescrive. E non penso che i medici si prenderanno la responsabilità di commettere un reato, che va poi perseguito”. Lo dice il professor Gioacchino Calapai, già direttore della Scuola di specializzazione in Tossicologia Medica del Dipartimento di Scienze Biomediche, Odontoiatriche e delle Immagini Morfofunzionali dell’Università degli Studi di Messina e dirigente medico presso l’Unità operativa complessa di Farmacologia Clinica dell’azienda ospedaliera Universitaria Policlinico ‘G. Martino’ di Messina, intervistato dall’agenzia Dire in occasione del 38esimo Congresso Sif (Società italiana di Farmacologia), che si è svolto a Rimini dal 25 al 28 ottobre.

“Poi ci sono anche i farmacisti che devono dispensare- ha proseguito Calapai- insomma, la cannabis per uso medico (come il Ministero della Salute preferisce che si chiami) ha degli attori che sono i medici che la prescrivono, i pazienti che ricevono la prescrizione e i farmacisti che ne dispensano poi la preparazione. Quindi è un sistema che ha in sé un meccanismo di controllo del consumo”.

L’esperto ha ricordato quindi cosa è accaduto negli Stati Uniti, dove in alcuni Stati la cannabis a uso terapeutico è utilizzata: “Negli Usa sono passati più di 10 anni, forse anche 12, dall’uso medico e non sembra che si sia registrato un aumento del consumo della cannabis al di fuori del suo uso medico”.


Ma cosa ne pensa dell’uso ludico, ricreazionale della cannabis tra i giovani? “Non voglio entrare nel merito della legalizzazione, perché quello è compito dei legislatori- ha risposto Calapai- ma quello che posso dire è che se noi riconosciamo che la cannabis ha effetti terapeutici, possiamo anche facilmente immaginare che, come avviene per tutti i medicinali, si possano manifestare effetti collaterali. Tra questi i più importanti sono quelli dovuti all’azione del THC, il principale composto psicoattivo presente nella pianta. La popolazione più sensibile a tali effetti, quella più vulnerabile, è proprio quella degli adolescenti, che è sempre stata la fascia di età maggiormente attratta dalla cannabis”.

Si tratta infatti di una sostanza che ha effetti psicotropi, cioè vuol dire che “ha effetti sul cervello – ha aggiunto l’esperto – un organo che nei giovani è ancora in evoluzione, più di quanto si immagini, poiché alcuni fenomeni collegati al suo sviluppo sono in atto anche dopo i 20 anni. Non stiamo certo parlando di “acqua fresca”. Non voglio in questo modo dire che la cannabis è la droga più pericolosa del mondo, tutt’altro, però non si può neanche affermare che non dia problemi, soprattutto nella fascia degli adolescenti”.

Ma esiste un’età in cui la cannabis sarebbe assolutamente da vietare? “Non sono un legislatore e non me la sento di rispondere. In ogni caso, anche se fissassimo l’età a 18 anni, sarebbe un confine convenzionale, perché i tempi di maturazione poi a livello individuale possono essere diversi. Non dimentichiamo che per quanto lo sviluppo della dipendenza non sia così frequente come per le altre sostanze, anche per la cannabis esiste la possibilità che ciò accada, anche se in una percentuale decisamente inferiore se paragonata ad altre sostanze d’abuso quali la nicotina, gli oppiacei e l’alcool” ha concluso Gioacchino Calapai.

CANNABIS TERAPEUTICA, ESPERTO: ORA SERVONO STUDI CLINICI

“Gli effetti terapeutici della cannabis non sono ancora stati sufficientemente studiati. Ciò è vero non solo per le preparazioni che sono state approntate recentemente in Italia ma anche per la maggior parte delle preparazioni derivate dalla cannabis utilizzate nel mondo. Finora esiste un solo farmaco a base di cannabis registrato presso le agenzie nazionali del farmaco, inclusa l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), si chiama nabiximols (il nome commerciale è ‘Sativex’) e ha come unica indicazione terapeutica il dolore da spasmi muscolari che si manifesta nei pazienti affetti da sclerosi multipla che non rispondono ad altre terapie. Ci si chiederà perché questo farmaco ha l’autorizzazione e le altre preparazioni no. Il motivo è questo: l’azienda che lo ha sviluppato e lo produce ha investito economicamente nella ricerca su questo prodotto. Prodotto a cui è stato riconosciuto lo status di farmaco grazie ai risultati ottenuti con gli studi clinici”, spiega Calapai.

“Nel nostro Paese, dunque- ha proseguito Calapai- già dal 2013, anno in cui è stato autorizzato il Sativex, esiste la possibilità di curare gli spasmi muscolari nella sclerosi multipla grazie agli effetti della cannabis. Certo, i costi sono significativi, ma si sta cercando di abbassare i prezzi e soprattutto la novità apportata dalla legge è che le regioni potranno decidere che i farmaci a base di cannabis siano rimborsati dal sistema sanitario nazionale. È un grande passo avanti e un investimento volto a soddisfare le esigenze dei pazienti”.

Intanto la legge sull’uso della cannabis terapeutica ha ricevuto l’ok dalla Camera e aspetta ora di passare al Senato. “Perché ha fatto tanto discutere? È sempre un argomento controverso– ha risposto il professore- perché la cannabis era nota ai più soltanto come sostanza d’abuso, cioè l’uso medico non veniva riconosciuto; quindi è difficile anche per l’opinione pubblica fare una netta inversione di marcia su questo tema, cambiando velocemente idea. Ovviamente la posizione dei partiti riflette le perplessità che in molta gente suscita questo argomento “.

Calapai, in qualità di farmacologo, fa parte del gruppo di lavoro del Ministero della Salute che è stato istituito nell’ambito dell’organismo statale per la cannabis. Ma cosa prevede di nuovo la legge appena approvata alla Camera? “In pratica stabilizza un processo avviato nel 2007– ha spiegato Calapai- poi concretizzatosi con un primo decreto legge uscito nel novembre del 2015, che già indicava gli usi medici che il ministero raccomanda per la cannabis. In quel decreto si dice che la cannabis può essere prescritta dai medici per alcune indicazioni. Si preferisce parlare di ‘uso medico’ perché ci si riferisce ad un prodotto, l’FM2, prodotta dallo Stato Italiano grazie ad un accordo tra i Ministeri della Salute e della Difesa ma che non ha (o non ancora) acquisito, in mancanza di studi clinici, lo status di farmaco. FM2 è un prodotto a base di cannabis che contiene sia il principio attivo delta 9 tetraidrocannabinolo (THC) che, in una percentuale simile, il composto cannabidiolo. FM2 è stato reso disponibile dal dicembre 2016″.

La cannabis terapeutica viene usata, tra le altre, per la terapia del dolore, nei soggetti refrattari ad altre strategie terapeutiche e, in particolare, per il dolore cronico di tipo neuropatico e per altri usi medici elencati sul sito del Ministero della Salute.

“La mancanza di studi clinici su FM2 non deve sorprendere, si tratta di un prodotto sviluppato in tempi abbastanza rapidi per far fronte alle richieste dei pazienti che erano costretti a richiedere individualmente o tramite farmacie i prodotti a base di cannabis, anch’essi privi di informazioni definitive sulla loro efficacia e venduti all’estero (in particolare in Olanda), rispetto ai quali FM2 può vantare controlli di qualità che lo rendono più sicuro. Il passo successivo, come si è detto anche durante la tavola rotonda al Congresso Sif, sarà l’organizzazione di studi clinici che siano rivolti a identificare e stabilire le dosi ottimali per curare i pazienti in modo efficace e sicuro”.

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