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Negato il suicidio assistito, la decisione di Martina Oppelli: “Vado in Svizzera”

La commissione competente per l’assegnazione della procedura di suicidio medicalmente assistito, ha espresso parere negativo, perché la 49enne triestina non è attaccata a una macchina che la tiene in vita

Pubblicato:23-05-2024 20:15
Ultimo aggiornamento:23-05-2024 20:18

martina oppelli
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(Foto da Facebook)

TRIESTE – “Sono esausta, esaurita. Sono satolla di vita”. Così Martina Oppelli, oggi in conferenza stampa con la presidente dell’associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, spiega la situazione che l’ha portata a rinunciare alla lotta contro le istituzioni italiane che continuano frapporre ostacoli all’esercizio del diritto di ‘fine vita’, decidendo di ricorrere all’eutanasia in Svizzera.
Oppelli soffre, spiega, della stessa patologia incurabile (sclerosi multipla), stessa immobilità totale e totale dipendenza dall’assistenza di altre persone, stesso dolore e sofferenza insopportabile contrastati in parte da potenti antidolorifici, stessa piena capacità di intendere e volere.

Eppure, a differenza della sua concittadina Anna (nome di fantasia), la commissione dell’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina competente per l’assegnazione della procedura di suicidio medicalmente assistito, ha espresso parere negativo, perché manca il requisito del ‘trattamento di sostegno vitale’. Ovvero, la 49enne triestina non è attaccata a una macchina che la tiene in vita. La stessa Oppelli tuttavia racconta come senza un’assistenza umana 24 ore su 24, di fatto morirebbe, com’è quasi successo quando è stata abbandonata per 16 ore a letto, da sola in casa, da una badante irresponsabile. “Nessuno mi sentiva gridare, non ho potuto neppure piangere, perché mi sarei soffocata con la mia stessa saliva– racconta-. La prima ad arrivare è stata la badante del turno successivo. Suonava, ma io non potevo aprire. Mi hanno trovata tra le mie feci e l’urina nel letto, affamata, assetata, rigida come il cemento precompresso perché non ho potuto prendere le mie medicine”.
Lo racconta con un filo di voce, “perché altrimenti mi viene da tossire, e io non riesco a tossire. Per questo ho la ‘macchina della tosse’, una roba terribile che mi provoca un dolore tremendo al trigemino, come se mi succhiasse fuori il cervello”.
La donna precisa che non è stufa della vita, ma del dolore e della sofferenza, che persiste e diventa sempre peggiore nonostante l’ottima assistenza che sta ricevendo e le cure palliative a cui ha pieno accesso. Ha avuto una vita piena, grazie a letture e incontri con persone interessanti, anche quando la malattia era già avanzata, diagnosticata nel 2002, ma con i primi sintomi nel ‘99.


Dal 2012, continua “ho bisogno di qualcuno che mi metta a letto, mi giri e mi alzi al mattino; che mi porti in bagno, mi lavi i denti, mi renda ‘presentabile’, mi dia da mangiare e bere. Ma ancora oggi posso lavorare, grazie a un’interfaccia vocale sul computer. Basta che mi mettano davanti allo schermo e accendano il Pc, perché io non posso, e mi muova, mi porti in bagno, quando è il momento della pausa”. E conclude: “E’ possibile vivere anche con la sclerosi multipla, e lo dico a tutti: prova, non sarà facile, non migliorerà, ma quando non ce la farai più ci sarà una via d’uscita”.
Questa via d’uscita, tuttavia, Martina Oppelli la troverà in Svizzera con l’assistenza dell’associazione Coscioni, spiega Gallo, perché nonostante le pronunce della Corte costituzionale, con la famosa ‘sentenza Cappato’ che prescrive quando si ha diritto al suicidio medicalmente assistito, le interpretazioni spesso restrittive della pronuncia da parte di istituzioni e funzionari rendo ancora impossibile esercitare tale diritto. Né il Parlamento, nonostante i continui solleciti della Consulta e del Presidente della Repubblica, conclude, ha fatto alcun passo in avanti verso una legge adeguata che disciplini il ‘fine vita’.

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