Di Renzo (Ido): Cercare origini non significa colpevolizzare genitori
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 27 ott. "Dietro i disturbi d'apprendimento (Dsa) ci sono le emozioni, ma per un genitore e' molto piu' facile accettare che un figlio abbia una difficolta' prestazionale piuttosto che emotiva. Le prestazioni, infatti, sono qualcosa di concreto, che non coinvolgono la famiglia. Le difficolta' emotive, invece, fanno sentire il genitore coinvolto, colpevolizzato, responsabile e quindi e' molto piu' impegnativo per lui accettarle". Francesco Montecchi, neuropsichiatra infantile e presidente della Onlus 'La cura del girasole', affronta il tema nel corso della seconda giornata precongressuale dell'Istituto di Ortofonologia (IdO). Un confronto in diretta YouTube con Magda Di Renzo, responsabile del Servizio Terapie IdO, e Andrea Pagnacco, neuropsichiatra infantile IdO.
"I genitori dovrebbero tollerare che un figlio possa avere delle difficolta'- sottolinea ancora Montecchi- e pensare che tutti gli esseri umani possono vivere dei momenti di disagio". Magda Di Renzo rafforza le sue parole: "Un sintomo ha sempre un significato che dobbiamo decodificare- dice- Non possiamo vedere un disturbo senza considerare la storia del bambino", sottolinea la psicoterapeuta. "Ma avere quest'ottica complessa ha sviluppato nella collettivita' l'idea che noi terapeuti vogliamo sempre trovare delle colpe. Invece- dice- cercare le origini di un disturbo non significa distribuire colpe, al contrario significa alleggerire i genitori da quelle che si portano dietro". Il principio ribadito poi da Montecchi e' che "il bambino va visto nella sua globalita', non va connotato subito in modo schematico". Oggi si conta che il 4% della popolazione nazionale sia dislessica, uno dei disturbi d'apprendimento piu' diffusi. "Ma le diagnosi sono molte di piu'", sottolinea Montecchi. "E' frequente che i dislessici abbiano un livello intellettivo elevato- dice il neuropsichiatra- ma se un ragazzino ha un buon livello intellettivo e un sufficiente equilibrio emotivo, allora piu' che inserirlo in un percorso di riabilitazione, lo inserirei in un percorso di osservazione. Questo perche' spesso la persona dislessica ha delle grandi risorse. E' dislessico- spiega Montecchi- secondo la nostra visione centrata sulla prestazione, ma in realta' puo' avere un sistema di funzionamento diverso dal nostro. Tant'e' vero- aggiunge il neuropsichiatra- che si vedono molte persone dislessiche che nel corso della crescita, se non vengono inserite subito in un percorso di logopedia o di riabilitazione, hanno delle risorse per trovare la capacita' di gestire la loro dislessia e talvolta trovano delle soluzioni creative". Dunque l'indicazione di Montecchi e' di "non inserire sempre i dislessici in percorsi di riabilitazione, ma di prendere in considerazione il loro livello intellettivo, il funzionamento emotivo, vedere che risorse possono mobilitare e poi sostenere i genitori a reggere la dislessia del figlio". Una considerazione che parte da anni di esperienza: "Ho visto tanti ragazzi e adulti ex dislessici che sono riusciti a organizzare i propri processi mentali e le proprie capacita' di lettura/scrittura in un modo che una riabilitazione non potrebbe fare", conclude il neuropsichiatra.
(Wel/ Dire)