Infanticidio, nella maternita' sentimenti ambivalenti
Cosenza: ha a che fare con non detto, parte pulsionale fa paura
Roma 3 mar. - 'L'infanticidio ha a che fare con il non detto e con l'inspiegabile e non lo si puo' ricondurre al solo fattore ambientale. Possiamo descriverlo a livello fenomenologico o psicodinamico ma non a livello psicogenetico o causale, e' ben altro'. A parlarne e' Anna Maria Cosenza, psicoanalista junghiana, che intervenendo all'ultimo Venerdi' culturale della Fondazione Mite, in collaborazione con l'Istituto di Ortofonologia sul tema 'Essere madri oggi', ha raccontato la sua esperienza di lavoro con alcune donne recluse per infanticidio all'interno degli Istituti Penitenziari e nell'SPDC dell'Ospedale Sant'Andrea di Roma. Storie che le hanno permesso di confrontarsi con la dimensione del perturbante, presente in tutti e di cui e' difficile prenderne consapevolezza.
Prima di addentrarsi nel tema dell'infanticidio, Cosenza chiarisce che la donna durante e dopo la gravidanza e' investita da sentimenti ambivalenti. 'Il primo a studiarli e' stato lo psicoanalista inglese D. W. Winnicott, che parla della 'preoccupazione materna primaria', definendola come uno stato di organizzazione (che sarebbe una malattia se non vi fosse il fatto della gravidanza) che potrebbe essere paragonato ad uno stato di ritiro, di dissociazione, ad una fuga o perfino ad un disturbo piu' profondo. Tutte le donne vivono questa 'malattia naturale'- spiega la psicoanalista- che, seppur primitiva, e' fondamentale per il determinarsi della relazione simbiotica della madre con il figlio. Questa condizione, che inizia poco prima del parto e dura fino a poche settimane dopo la nascita, fa si' che la donna regredisca ad una condizione infantile. Pertanto- aggiunge Cosenza- da una parte attiva l'inizio di una relazione comunicativa atta a soddisfare i bisogni del bambino, dall'altra induce una dimensione di estrema fragilita', per l'emergere dei sentimenti di disorientamento e un senso di inadeguatezza. Il tutto e' vissuto in maniera assolutamente inconsapevole.
Affinche' questa fase 'primitiva' venga superata e' necessaria la presenza di un ambiente 'sufficientemente buono', in grado di garantire protezione e contenimento alla madre. In tal modo ne risentirebbe positivamente anche il bambino, che 'inizierebbe ad esistere'.
Quando questa situazione non rientra poiche' le aree di fragilita' attivano nuclei psichici non risolti, fino a quel momento rimasti nascosti alla consapevolezza, si va incontro ad una fuga dalla sanita''.
L'immaginario collettivo parla di istinto materno, ma 'le donne vere, quelle in 'carne ed ossa', non vi aderiscono poiche' vivono sentimenti di disperazione e di inadeguatezza, alternati a sentimenti di grandiosita' e di onnipotenza, propri dello stato di gravidanza. Winnicott- sottolinea la studiosa- e' stato il primo a parlarci dell'odio delle madri che avviene prima dell'odio da parte dei figli nei confronti delle madri. La madre e' colei che viene attraversata dall'amore per il figlio, ma anche dal rifiuto del figlio. Infatti la caratteristica del sentimento materno e' la sua ambivalenza'.
Winnicott precisa, inoltre, che 'l'amore materno e' una cosa piuttosto grezza. C'e' possessivita', appetito, insofferenza, generosita' e potere, ma anche umilta'. Ma il sentimentalismo ne e' totalmente al di fuori e ripugna alle madri', poiche' il sentimentalismo secondo Winnicott nasce dalla rimozione dell'odio, ovvero dall'incapacita' di odiare. In alcune situazioni estreme, infatti, l'odio si concretizza e prende forma nella sua massima espressione con l'infanticidio'.
Il mito fondativo della donna-madre come buona, dotata di istinto materno e predisposta all'accudimento incondizionato del proprio figlio, secondo la psicoanalista Estela Welldon, poggia sul paradosso della cultura occidentale che, ancor prima della teoria dell'inconscio, considera Maria Vergine scevra dal peccato, quindi senza ombra 'figlia di suo figlio' (con riferimento alla Trinita': ella e' figlia di Dio, come tutti gli uomini, ma Dio e' uno e trino, quindi Cristo e' anche Dio e percio', al contempo, padre e figlio di Maria). Una figura che viene cosi' contrapposta a Giocasta, donna-madre e moglie del figlio Edipo, che rappresenta il massimo dello scandalo incestuoso. In entrambi i casi viene cambiato l'ordine delle generazioni, ma qual e' la differenza? Tra Edipo e Giocasta s'inserisce Eros, che scardina ogni equilibrio.
'Rimanendo fedeli a Freud, per far fronte a questa duplice dimensione della donna- dice Cosenza- la difesa che viene operata dalla psiche degli uomini e' quella di scindere difensivamente la relazione, in 'amore sacro' e 'amore profano', riservato rispettivamente alle madri e alle mogli il primo e alle amanti il secondo. Le donne hanno risposto collusivamente a questa modalita' difensiva rimuovendo e negando i loro istinti sessuali e aggressivi, avvertendoli come 'illeciti' e 'mostruosi'. La madre pulsionale fa paura poiche' all'eros si accompagna sempre una quota di aggressivita'. Il massimo del perturbante e' rappresentato per ognuno di noi quando ci troviamo di fronte alla madre in carne ed ossa, che non accoglie solo i bisogni fusionali dei figli, ma che a sua volta e' essa stessa protagonista di bisogni e desideri. Le stesse donne hanno paura di incontrare quelle dimensioni di se' che hanno a che fare con il perturbante, proprio delle loro parti istintuali e distruttive, che il collettivo rimanda alle madri 'cattive' e quando la distruttivita' viene agita: alle madri 'assassine!'.
A livello controtransferale la psicoanalista junghiana si chiede come fosse possibile per loro conciliare la dimensione psichica che aveva ucciso quella parte interna di se stesse, attraverso il figlio, con tutto il resto, visto che il loro funzionamento era assolutamente in linea con la cosiddetta 'normalita''. 'Mi chiedevo che cosa fosse collassato nella loro psiche- prosegue Cosenza- Jung ci aiuta a capire come queste donne vengano possedute dall'aspetto terrifico del complesso materno. Ma questa spiegazione e' una possibile lettura di cio' che accade a queste madri, infatti le teorie ci aiutano a placare l'inquietudine che ho vissuto stando vicino a loro. Forse perche' esse incarnano un aspetto della psiche che ha a che fare con la componente terrifica del materno che alberga in tutte noi donne, anche se non siamo madri? Una risposta su cio' che ci differenzia da esse puo' derivare dalla diversa potenzialita' distruttiva che viene messa in campo! Infatti la capacita' di sentire l'angoscia, la frustrazione, derivante dal sentimento di inadeguatezza, permette di fermarsi prima. Queste donne che hanno perso o non hanno mai avuto la soglia del sentire, agiscono direttamente la rabbia evacuandola!'.
Un altro aspetto che 'mi risultava difficile capire erano le ritualita' che venivano attivate ogni volta che c'erano le visite degli altri figli e dei familiari.
Illusoriamente- racconta la psicoanalista- come in un set cinematografico, veniva messo in scena un amore materno prima dell'incontro, ma quando erano presenti realmente i familiari, quel palcoscenico abitato da persone fisiche si trasformava in un congelatore di emozioni, in cui ognuno era a disagio con l'altro e dove lunghi silenzi prendevano il posto delle parole. E dove la dimensione spazio temporale subiva un arresto, tanto da diventare quasi irreale. Quel gelo interno che riusciva a contagiare anche gli altri astanti, simboleggiava la potenza delle 'aree arcaiche' o 'sacche autistiche' per dirla alla Frances Tustin'.
Queste donne sperimentavano 'un sentimento positivo in assenza dell'altro. Infatti il desiderare 'l'altro' quando non e' presente, ha il vantaggio di nutrire l'illusione di un legame che quando viene incarnato dal figlio reale che arriva si vanifica! Mi chiedevo quale madre aspettavano di incontrare quei figli che dall'altra parte del tunnel avevano atteso, forse, con le stesse ritualita', avevano immaginato una madre ideale. Ma la realta' in maniera spietata infrangeva qualsiasi immaginario fantasticato. L'elemento che accomunava madre, figlio e padre era quella situazione di estraneita' imbarazzante e quel silenzio talmente ingombrante da somigliare ad un 'urlo senza voce'. E in cui, dopo l'incontro, tutto tornava come prima. All'interno di 'un'istituzione totale' di quei 'fatti' che avevano a che fare con il perturbante e con la dimensione terrifica del materno, non se ne parlava. A significare- spiega la studiosa- che la potenza di quelle aree non consente l'accesso al 'verbo'. Tutti sapevamo dell'accaduto, ma nessuno ne parlava per il timore di confrontarsi con la potenza delle aree primitive, distruttive e proteggersi da quei contenuti che hanno come matrice la potenza dell'aggressivita'. Il senso di inquietudine riesce a depotenziare chiunque entri in contatto con questa dimensione. A significare che qualcosa e' rimasto incapsulato nella psiche di quelle donne di cui fa paura anche il solo parlarne. Quasi come una regola non scritta- conclude- il dolore che turba se nominato crea un disorientamento contagioso, una sorta di 'infezione psichica' di cui si teme di esserne risucchiati'.
(Red/ Dire)
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