Martinotti: distanziometro no benefici, politica ascolti psichiatria
Roma, 3 mar. Tecniche di brain stimulation non invasive che "rafforzano la sezione del cervello e della corteccia celebrale", intaccata dopo anni di dipendenza "nella sua capacita' di controllare il desiderio di giocare". Nuove tecniche "farmacologiche che intervengono direttamente sul circuito di gratificazione, sul 'reward' della dopamina", come anche quelle "di intervento psicoterapeutico che si servono della realta' virtuale (vr)". Sono queste le tre novita' proposte dal mondo della psicopatologia e della psichiatria per contrastare il gambling: il disturbo da gioco patologico di cui parla ai microfoni della Dire Giovanni Martinotti, professore in Psichiatria all'Universita' degli studi 'G. D'Annunzio' Chieti-Pescara, a margine del XXIV congresso nazionale della Societa' italiana di psicopatologia (Sopsi) a Roma.
Il gambling, difatti, "e' un fenomeno in completa evoluzione, con delle caratteristiche dal punto di vista psicopatologico oramai ben note". Purtroppo, continua l'esperto, "le metodiche messe in atto al livello politico-assistenziale, nella gestione del fenomeno, non hanno fornito risultati attesi" alla ricerca. Cio' a cui Martinotti fa riferimento e' "il distanziometro: il posizionamento delle sale da gioco al di fuori dei centri abitati". Una misura che, infatti, "non ha dato benefici dal punto di vista clinico sui pazienti con problematiche" di gioco d'azzardo patologico. Alla politica, quindi, il mondo della ricerca chiede di "prendere decisioni non ragionando soltanto dall'esterno, ma basandosi invece sul contributo degli psichiatri".
Il disturbo da gioco d'azzardo patologico purtroppo continua ad essere un campo di ricerca ancora colmo di lacune. A confermarlo e' il rapporto Istisan pubblicato a maggio 2018 dall'Istituto superiore di sanita', che pone in evidenza come "in molti paesi non siano state ancora condotte indagini sul comportamento del gioco d'azzardo". Tuttavia, dai pochi dati a disposizione in Italia, sono due le fasce d'eta' principalmente coinvolte dal disturbo: i giovani e i giovanissimi "che trovano nel gioco un momento di gratificazione nel mezzo di un 'sociale' purtroppo vessato da molte problematiche". E gli anziani, "che hanno smesso di lavorare, hanno perso il ritmo quotidiano di vita e nel gioco spesso trovano una risposta. Talvolta- conclude Martinotti- anche solo per occupare il tempo". A tracciare una fotografia dettagliata ci pensa l'Istituto di Fisiologia clinica del centro nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr) che, in uno studio condotto sui giovanissimi (15-19 anni), "mostra come il comportamento di gioco a rischio sia presente nell'11% degli intervistati, mentre quello problematico in circa l'8%".
(Red/ Dire)