Di Nuovo: Conoscere meccanismi psicologici aiuta su politiche educative
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 21 lug.
-Bullismo etnico, maternita' e genitorialita' in senso ampio.
Scuola, depressione, disturbi psicologici, sentimenti e identita'. Con la pandemia che ancora impervia, partono da qui diverse voci di punta dell'universo psicologico che, con l'uscita del primo numero 2020 della rivista 'Ricerche di Psicologia', scelgono di riflettere su uno dei temi piu' 'caldi' di sempre: le migrazioni, con l'obiettivo di "offrire contributi scientifici che evitino posizioni pregiudiziali o idelogiche".
L'oggetto "della dimensione della speranza, che poi e' una proiezione verso il futuro, e' l'affermazione di una mentalita' collettiva tendente all'integrazione e non alla chiusura difensiva". Esordisce cosi', in apertura al volume, Santo Di Nuovo, presidente dell'Associazione italiana di psicologia (Aip). Solo attraverso una mentalita' rivolta all'integrazione, dunque, si puo' scommettere "su un mondo piu' integrato e meno conflittuale, piu' globalizzato anche nella solidarieta'", che permetta di diminuire "le sperequazioni fra aree deboli e forti del pianeta- aggiunge- Dunque, conoscere i meccanismi psicologici che regolano questi processi serve a costruire politiche educative e sociali mirate a ridurre i rischi di 'integrazione selvaggia'", oltre che "ad aumentare la sicurezza e il benessere nella convivenza tra le persone e tra i popoli".
E per chi si domanda cosa possa dire e fare la psicologia scientifica su un tema come le migrazioni, il presidente Aip anzitutto risponde che "il rischio di un'immigrazione non controllata non e' solo quello dell'immissione delle fasce piu' deboli in canali devianti, ma anche dell'istaurarsi di condizioni di stress post-traumatico in chi non riesce a reggere l'impatto di un radicale cambiamento in condizioni di segregazione e conflitto".
E ancora, non finisce qui. La psicologia in tema di migrazione "puo' dirci qualcosa sui sentimenti che pervadono la mente di chi emigra e di chi accoglie, puo' spiegare le risonanze emotive dell'impatto delle diverse generazioni di immigrati che tentano di integrarsi nella cultura che li ospita- enumera- Puo' spiegare a quali condizioni si evita la sfiducia reciproca e il pregiudizio negativo verso chi fa parte di un gruppo sociale o etnico diverso dal proprio, quasi fossero tutti potenziali criminali". Difatti frange devianti, sostiene Di Nuovo, permangono "in tutti i gruppi sociali e in tutte le culture: controllare e punire chi trasgredisce le norme non comporta sospettare di tutti in modo indiscriminato".
Percio', se le migrazioni "possono produrre malessere e patologie fisiche e psichiche", a detta degli psicologi, e' di questo malessere che "la societa' deve farsi carico, non solo a livello terapeutico ma anche a livello preventivo- illustra lo psicoterapeuta- evitando forme di emeraginazione o di vittimizzazione che si ripercuotono sull'equilibrio degli individui e sulla societa' in generale". Lo conferma la stessa psicologia, inoltre, che "il pregiudizio e il conflitto sociale genera malessere mentre prendersi cura dell'altro, del diverso senza considerarlo a priori un potenziale nemico da cui difendersi- scrive- fa crescere il benessere di tutti".
Occorre costruire "fiducia e speranza come antidoto del pregiudizio e del conflitto", ed e' compito "degli educatori in famiglia e nella scuola ma, nei tempi attuali", occorre farlo "anche nelle altre modalita' di socializzazione delle giovani generazioni, mediante forme di intervento in grado di sfruttare i social media: forme e modalita' di intervento ancora da progettare e validare scientificamente", conclude.
(Wel/ Dire)