Roma, 11 feb. - Roma La solitudine delle persone con depressione, sia nel senso sociale - il 54% di loro vive solo - che nel senso piu' intimo di solitudine profonda non viene percepita dalle persone intorno.
Eppure parlare di depressione e' possibile, e se si utilizza il linguaggio appropriato, non giudicante, le persone scelgono di aprirsi al loro vissuto. E' quello che e' successo attraverso il progetto di medicina narrativa 'Fuori dal blu', che ha permesso la raccolta di 96 storie di depressione maggiore raccontate "a tre voci": da chi la vive direttamente su di se', dalle persone loro piu' vicine, e dai curanti psichiatri che li accompagnano nel percorso di cura.
Si tratta di uno dei disturbi piu' invalidanti al mondo, che secondo le ultime stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanita' interessa 350 milioni di persone, di cui 3 milioni in Italia. Si prevede inoltre che possa diventare entro il 2030 la malattia cronica piu' diffusa, e' quindi una delle sfide del XXI secolo. Da qui la centralita' del progetto ideato e curato dall'Area Sanita' e Salute della Fondazione ISTUD, con il patrocinio di due societa' scientifiche: Sinpf (Societa' italiana di neuropsicofarmacologia) e Sip (Societa' italiana di psichiatria), piu' quello di Fondazione ONDA (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), con il contributo non condizionato di Lundbeck Italia.
Attraverso il coinvolgimento attivo di 5 centri di psichiatria sul territorio nazionale, le persone con la depressione maggiore sono state invitate a narrarsi nel loro vissuto quotidiano, intimo, familiare e sociale.
"L'obiettivo del progetto era sfidante- spiega Maria Giulia Marini, direttore scientifico e dell'Innovazione dell'Area Sanita' e Salute di Fondazione ISTUD- riuscire a far parlare le persone di una condizione difficile da far comprendere. Avere la depressione maggiore, non significa semplicemente 'essere tristi' o 'giu' di corda' ogni tanto, aspetto naturale dell'essere umano, ma trovarsi in una condizione di persistente e severo abbattimento, al quale in quel momento non si riesce a reagire, indipendentemente dalla propria volonta', e che quindi richiede delicatezza e assenza di giudizio. Per questo abbiamo elaborato una traccia narrativa basata su un linguaggio semplice e universale, poche parole che guidassero i racconti attraverso il tempo della malattia, da prima della depressione all'oggi, fino a vedere, o rivedere, il futuro".
Le 96 narrazioni raccolte rappresentano, quindi, il primo risultato del progetto, ma il punto di forza della ricerca e' stato quello di ascoltare e unire piu' punti di vista sul vissuto di questa condizione. Il lavoro ha, infatti, permesso di fare emergere vari aspetti importanti: "Il carico e la sofferenza taciuta dei familiari, i meno ascoltati. Nel tempo si abituano o si costringono a reprimere le loro emozioni per mantenere il ruolo di sostegno, fino a rischiare di risentire loro stessi degli effetti della depressione. La difficolta' a narrarsi dichiarata dal 42% di loro rafforza questo scenario. L'impotenza iniziale del professionista di fronte alla sofferenza- si legge nel comunicato- ma anche il ruolo chiave delle relazioni di cura, il vero elemento di svolta nell'84% delle storie raccolte. Quando arriva l'aiuto giusto, che e' anche l'incontro giusto, inizia il percorso verso la guarigione".
Il progetto ha permesso, inoltre, di mettere in risalto "l'importanza delle metafore, utilizzate dall'83% delle persone con depressione, ma anche dai familiari e curanti, per trasmettere quello che non si riesce a dire e a descrivere: il tunnel buio, il baratro che trascina con se', lo zaino che si riempie sempre di piu', la strada vuota, la tortura dell'arrivo del giorno, il muro di sofferenza, l'isola in cui rifugiarsi, indossare una maschera, essere sotto una coltre di neve; ma anche la fiammella di luce, cadere e rialzarsi, risvegliarsi, riprendere il cammino". Di certo, la depressione ha tante facce: "Si e' mostrata in diversi contesti ed eta' della vita, piu' rappresentata delle storie di donne (69%) e piu' frequentmente in seguito a un'esperienza di malattia, a problemi lavorativi, alle difficolta' delle relazioni familiari e sentimentali".
Secondo Claudio Mencacci, co-presidente della Sinpf e direttore del Dipartimento Salute Mentale-Dipendenze Neuroscienze, Asst FBF-Sacco di Milano, "anche scrivere cura, aiuta a star meglio, consente di condividere e far emergere emozioni, paure, angosce piu' difficili da raccontare verbalmente. Nella maggior parte degli scritti si manifesta un grande coraggio che a volte nemmeno chi scrive pensava di avere. E queste esperienze sono di grande aiuto anche per noi medici- conclude- ci aiutano a capire meglio, a fermarci, ad analizzare e condividere la sofferenza di chi ci sta davanti e mette nelle nostre mani con fiducia la propria esistenza".
(Red/ Dire)