La tecnologia e' opportunita' ma all'interno di una formazione di qualita'
Roma, 11 feb. - Il problema posto dalla formazione telematica in psicologia "non puo' essere semplificato in modo riduttivo con un parere favorevole o contrario alla formazione 'a distanza' in luogo di quella 'in presenza'. Esso implica infatti la necessita' di ridiscutere le attivita' essenziali, la frequenza e l'eventuale obbligo per esse, la numerosita' degli studenti, la programmazione degli accessi a livello nazionale o almeno locale". Esordisce cosi' il documento del direttivo dell'Associazione italiana di psicologia (Aip) sul tema del decreto ministeriale 1171 del 23 dicembre 2019, recante norme sui corsi di laurea telematici in Psicologia.
In risposta alla querelle che aveva gia' visto gli studenti delle lauree telematiche scontrarsi con il Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi (Cnop), anche l'Aip dice la sua e lancia una proposta. "Si potrebbe prevedere- si legge nel documento ufficiale- il mantenimento di percorsi telematici di tipo 'blended' nelle lauree triennali - che per loro natura sono chiamate a fornire un inquadramento teorico e metodologico, e hanno di fatto ridotte valenze professionalizzanti - sempre a condizione che rispettino comunque i criteri di qualita' sopra definiti".
Se da un lato, percio', quella dell'Associazione italiana di psicologia puo' essere considerata un'apertura rispetto alla diatriba precedente, l'Aip suggerisce, pero', "di evitare la riattivazione di corsi telematici nelle lauree magistrali, in assenza di garanzie sulla ridefinizione degli ordinamenti, delle attivita' indispensabili e obbligatorie, e di rapporti docenti-studenti-tutor adeguati alla reale professionalizzazione di psicologi per la tutela della salute".
Cio' che emerge dal documento del direttivo Aip, in ogni caso, e' la necessita' di ridefinire la complessita' della materia, ricordando, ad esempio, come "lo svolgimento delle attivita' 'in presenza' non e' di per se' sinonimo di qualita' se non si accompagna a metodologie didattiche adeguate, docenti numerosi e qualificati, studenti in possesso di requisiti minimi e in numeri contenuti". E ancora, dall'altro lato una formazione a distanza "puo' risultare di qualita' non inferiore ad una in presenza svolta in grandi gruppi. Ad esempio, un'attivita' 'direttamente supervisionata' non significa necessariamente 'in presenza', tanto piu' se la frequenza poi non e' obbligatoria.
Essa- si legge nel documento- andrebbe resa effettivamente funzionale, e percio' credibile, quale che sia la modalita' di erogazione".
Difatti, le possibilita' offerte "oggi dalla tecnologia, se opportunamente progettate e sfruttate, potrebbero supportare alcune forme di apprendimento basate su contenuti pratici ed applicativi con la stessa efficacia dei corsi in presenza".
La proposta, dunque, sarebbe quella di accogliere, per la formazione di base, la possibilita' di una modalita' "blended che possa stimolare e formare ad un uso competente, attivo e critico della tecnologia. L'integrazione di opportune modalita' di e-learning, gia' ampiamente in uso in Italia e all'estero, possono consentire di raggiungere la comunita' degli studenti per attivita' pratico-applicative nella laurea triennale", soprattutto tenendo conto "dell'attuale non adeguata tutela del diritto allo studio che si contra con la possibilita' per alcuni studenti e studentesse di dedicarsi unicamente allo studio".
Forme blended, quindi, che potrebbero "essere valutate caso per caso (anche dalle singole sedi in base ai supporti disponibili, con le verifiche previste dalle norme vigenti) secondo un protocollo in cui siano chiaramente declinate in termini di 'esiti di apprendimento' e metodologie didattiche, in cui il raggiungimento di specifiche competenze di base e specialistiche sia vincolato esclusivamente alla fruizione di attivita' in presenza accanto ad attivita' svolte a distanza", conclude il documento.
(Red/ Dire)