Emofilia, una tecnica di psicanalisi infantile decostruisce la paura
Con la 'Regola delle 3 P': profilassi primaria, psicologica e sportiva
Roma, 29 ott. - Una tecnica "di psicanalisi infantile per aiutare i bambini a superare le loro paure o i traumi avuti". Parliamo del medical-play, "la gioco-terapia che utilizza strumenti ospedalieri e della medicina come momento ricreativo, per generare una sorta di immuno-tolleranza nel bambino che lo aiuta ad accettare una parte quotidiana o quasi" della sua vita. A parlarne e' Brianna Carafa d'Andria, scrittrice e madre di un ragazzo, ormai ultra vent'enne, affetto da una forma grave di emofilia di tipo A. La patologia e' di origine genetica, dovuta a un difetto della coagulazione del sangue. In condizioni normali, infatti, in caso di fuoriuscita dai vasi sanguigni, il sangue forma un 'tappo' che impedisce l'emorragia. 'Emofilia dalla A alla Z: dallo gioco-terapia allo sport agonistico' e' il libro uscito da poco, in una riedizione tutta rivista, che Carafa d'Andria ha scritto "per le altre famiglie, perche'-spiega- ho pensato che potesse essere di aiuto anche a loro, come lo e' stato per me".
Tanti i giochi che negli anni, adattandoli a tutte le fasce d'eta', Carafa d'Andria ha inventato per decostruire la paura che i bambini possono avere di aghi, dottori e medicine. 'Farfallina bella e verde vola vola nella vena di...', e' un "ritornello popolare per bimbi riadattato- si legge nel libro- per promuovere uno stato d'animo meno ansioso durante la terapia". 'Anche l'orsetto ha bisogno dell'infusione', invece, e' una tecnica che permette al bambino di "costituirsi parte attiva attraverso l'esecuzione dell'infusione sul peluche, che gli da' la possibilita' di comprendere, condividere e reindirizzare positivamente le sue emozioni". E ancora, c'e' anche 'chi vede prima il serpentino rosso', attivita' giocosa utilizzata dall'autrice in famiglia per "far riconoscere al bambino il momento in cui l'ago e' in vena". C'e' il diario e il cestino delle infusioni, la battaglia della siringa che Carafa d'Andria racconta alla Dire: "Una delle attivita' era riempirla nell'acqua per poi farci le battaglie. Oppure ci facevamo le infusioni con l'acqua sterile da soli, anche con i fratelli, uno sull'altro".
Ma quali sono i benefici della gioco-terapia? "Senso di forza dovuta al ripristino alla normalita', indipendenza, consapevolezza, controllo degli eventi, convivenza con la patologia come uno degli aspetti quotidiani della vita senza essere l'unico". E ancora, "apertura comunicativa e partecipazione attiva" del bambino che "ridimensiona la gravita' della patologia attraverso una nuova prospettiva piu' ottimistica e fattiva", si legge nel libro.
Affrontare la patologia giocando, quindi, e' possibile. Come lo si puo' fare anche attraverso l'attivita' fisica. "Sappiamo che la principale sede di episodi emorragici nelle persone con emofilia sono proprio le articolazioni- spiega Carafa d'Andria- quindi una struttura fisica solida, una muscolatura tonica e un fisico muscoloso sono molto importanti". Profilassi primaria o secondaria, psicologica e sportiva. Questa e' la regola "delle 3P" che nel volume viene consigliata nella "cura globale delle persone con emofilia".
Il principale ostacolo all'attivita' sportiva, pero', si verifica quando "un ragazzo cresce e per sua scelta vuole proseguire uno sport. Le societa' sportive- illustra Carafa d'Andria- richiedono il rilascio della certificazione di idoneita' agonistica e purtroppo, in Italia, c'e' una differenza veramente incredibile, ormai da anni, nel rilascio di queste certificazioni. In alcune regioni viene fatto, in altre non se ne parla nemmeno e questo crea due tipi di aspiranti atleti con emofilia: quelli di serie A e di serie B. In un paese come l'Italia- conclude l'autrice- non e' possibile. Se il certificato viene rilasciato a un ragazzo a Roma, lo stesso deve succedere anche in Val d'Aosta e in Sicilia".
(Wel/ Dire)
|