Per la Consulta il diritto alla salute dei detenuti deve essere garantito
Roma, 28 mag. - Il diritto alla salute dei detenuti deve essere garantito dalle misure alternative alla detenzione carceraria. E' quello che emerge dalla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha sottolineato come l'assenza di una alternativa al carcere, per chi fosse colpito da una grave malattia mentale, rappresenta una violazione del diritto alla salute. In pratica, se durante la carcerazione si manifesta una grave malattia di tipo psichiatrico, il giudice potra' disporre che il detenuto venga curato fuori dal carcere e quindi potra' concedergli, anche con pena residua superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione domiciliare "umanitaria", o "in deroga", cosi' come gia' accade per le gravi malattie di tipo fisico.
Questa valutazione dovra' tener conto di vari elementi: il quadro clinico del detenuto, la sua pericolosita', le sue condizioni sociali e familiari, le strutture e i servizi di cura offerti dal carcere, le esigenze di tutela degli altri detenuti e di tutto il personale che opera nell'istituto penitenziario, la necessita' di salvaguardare la sicurezza collettiva. A commentare positivamente la sentenza e' padre Pippo Insana, che per tanti anni e' stato cappellano dell'ex Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e oggi guida l'associazione di volontariato Casa di Solidarieta' e Accoglienza di Barcellona Pozzo di Gotto. Attualmente l'associazione che ha accolto ex detenuti dell'Opg promuove percorsi riabilitativi per persone con patologie mentali. La realta' opera anche dentro il carcere di Barcellona P.G. nel reparto di salute mentale.
"Finalmente la sentenza della Corte Costituzionale afferma quanto le associazioni hanno sempre denunciato - afferma padre Insana -. La detenzione nelle carceri non e' capace di dare una cura dignitosa a chi ha una situazione di salute mentale grave. Anche se ci sono, solo in pochissimi carceri - le Articolazioni per la tutela della salute mentale - queste non sono in grado di garantire il diritti di cura della persona in senso ampio come prevede l'art.32 della nostra Costituzione. Nello specifico le Articolazioni, nella gran parte dei casi, si fermano soltanto sulla cura farmacologica tralasciando completamente l'aspetto integrativo di tipo socio-relazionale e di riabilitazione sociale che per il recupero complessivo della persona e' molto importante".
"La prima Articolazione e' stata quella dentro il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto dove e' stato rilevato come in alcuni casi sia peggiorata la situazione della persona spesso chiusa in piccoli reparti e distante dal personale medico e infermieristico. Gli operatori socio-sanitari dovrebbero attivare per queste persone dei progetti socio-riabilitativi. Questo aspetto viene curato molto poco e in maniera discontinua. La conseguenza e' che avvengono litigi e manifestazioni aggressive e gesti di esasperazione tra queste persone il cui stato di salute e' destinato a peggiorare".
Una sentenza che apre nuovi scenari. "La sentenza della Corte puo' davvero aprire una strada nuova - continua padre Insana - a garanzia di una maggiore dignita' della persona nel quadro di un suo benessere psico-fisico. Questa e' chiaramente una incentivazione affinche' il Governo faccia una legge diversa dalla carcerazione dei detenuti con patologie psichiatriche.
Adesso e' auspicabile, infatti, una grande collaborazione tra i magistrati di sorveglianza, gli avvocati ed i dipartimenti di salute mentale (Dsm) che dovrebbero dare le prime risposte.
Valutando caso per caso, si potranno prevedere le misure alternative come la detenzione domiciliare, l'inserimento in comunita' terapeutiche assistite, in famiglia e in gruppi appartamento in relazione alle prescrizioni individuali. Le Rems - che in Sicilia sono tre - devono essere previste solo per chi ha una pericolosita' sociale ritenuta acuta".
Tra i detenuti ci sono poi coloro che in carcere hanno una doppia diagnosi: tossicodipendenti con malattia mentale e alcolisti o ludopatici con patologie psichiatriche. "Per loro esistono delle comunita' specializzate nell'accompagnamento di persone che hanno una doppia diagnosi - continua -. In Sicilia purtroppo non ci sono queste realta' e chi ha bisogno viene portato in altre regioni (Piemonte e Lombardia) dove sono presenti queste strutture".
"Ricordiamo che i dipartimenti di salute mentale hanno l'obbligo, secondo quanto prevede la legge 81 del 2014, di produrre i progetti terapeutici di riabilitazione individualizzati. Non si puo' assolutamente pensare che la Rems sia risolutiva in persone psichiatriche che per guarire dovrebbero stare in altre realta' ritenute piu' 'leggere'. Anche le famiglie dovrebbero rientrare dentro i progetti di cura della persona sottoposta a misure di sicurezza. La Sicilia, secondo una recente statistica, e' il fanalino di coda d'Italia per carenza di personale e di servizi previsti dalla normativa. Si evidenzia anche un uso eccessivo degli psicofarmaci rispetto ai progetti di riabilitazione. Non deve stupire che una persona, nel momento in cui risulti scompensata, possa compiere dei reati. Tutto questo dovrebbe essere evitato in chiave di prevenzione sociale prima che le conseguenze di certi atti ricadano su tutta la societa'".
Le associazioni in questi anni si stanno attivando per cercare risposte sempre piu' adeguate alla persona. "Bisogna agire su due aspetti - conclude padre Insana -. Abbiamo la persona nel territorio che va aiutata in termini di accompagnamento e cura in senso ampio. Con questa finalita' e' nata un'associazione che accorpa tante realta' associative siciliane: si chiama Coordinamento 'Si puo' fare'. L'associazione promuove incontri tra la societa' civile e gli assessorati regionali, alla famiglia e alla sanita', per incentivare i progetti individualizzati secondo quanto prevede il piano socio sanitario. Recentemente e' stato anche creato un tavolo tecnico regionale in cui sono incluse le associazioni di familiari per avviare un lavoro sinergico e collaborativo. Per quanto riguarda la situazione carceraria dei detenuti psichiatrici, invece, abbiamo fatto diverse domande al Dap e all'assessorato alla salute ma senza avere alcuna risposta. Purtroppo registriamo ancora la sordita' delle istituzioni preposte ad intervenire. Speriamo che adesso su sollecitazione di quanto espresso dalla sentenza delle Corte ci possa essere un significativo cambiamento di rotta".
(Wel/ Dire)