Psicologi Er: Poca attenzione su generazione in difficolta' che esce
Roma, 2 lug. - I cittadini italiani emigrati all'estero nel 2017 sono stati circa 115.000, un numero rimasto invariato rispetto al 2016. Inoltre, dal 2013 al 2016 sono molto aumentati gli emigranti con alto livello di istruzione, ovvero almeno laureati, che sono passati da 19.000 a 25.000 unita' all'anno. A dispetto della grande attenzione mediatica normalmente riservata ai flussi migratori in entrata, poca attenzione e' dedicata a quelli in uscita, che raccontano una generazione in evidente difficolta', che cerca di costruirsi un futuro al di fuori del proprio Paese. L'Ordine degli psicologi dell'Emilia-Romagna si centra sugli aspetti psicologici e sociali che rendono difficoltoso ripartire da zero, lontano dalle proprie origini, in particolar modo se questa e' una scelta non libera, forzata dalla necessita' di lavoro.
Chi lascia i luoghi di provenienza vive comunque sentimenti di perdita e abbandono: partire e' un'esperienza psicologica complessa. Chi parte lascia la propria casa, intesa non solo come oggetto fisico ma anche come spazio in cui si sono costruite reti relazionali che danno alla persona senso e sostegno per la propria vita individuale. "Per molti, una volta lasciato il proprio luogo d'origine, anche dopo essersi stabiliti altrove, rimane un senso costante di estraneita': ci si puo' sentire un po' stranieri faticando a comprendere fino in fondo la nuova cultura e si vivono sentimenti di ambivalenza. È possibile che la nuova esperienza trasformi la propria cultura al punto tale che non si riesca piu' a sentirsi a casa ne' nel Paese che accoglie ne' nel Paese da cui si viene. Il percorso di ricostruzione del senso di appartenenza, fattore di protezione fondamentale per il ben-essere della persona, e' spesso lungo oltre che difficile", commenta Anna Ancona, presidente dell'Ordine degli psicologi dell'Emilia-Romagna.
Un altro aspetto da considerare e' quello delle aspettative di chi parte: a volte ci si illude che in breve tempo si risolveranno tutti i problemi, con un'occupazione stabile e nuove amicizie. Eppure le difficolta' di vivere all'estero sono reali. Se anche il lavoro trova risposte immediate, comunque permane la difficolta' di costruire nuove reti di relazioni soddisfacenti. Le difficolta' possono essere tali che l'intero progetto esistenziale della persona puo' rischiare di fallire.
"Di fatto i nostri giovani migranti spesso sono acculturati, parlano la lingua del Paese in cui si trasferiscono e sono motivati dal bisogno maturo di costruire la propria vita in autonomia, anche economica, emancipandosi dalla famiglia d'origine. Cio' che puo' fare chi resta in Italia e' continuare a dare sostegno ai propri cari, cercare di far sentire la propria presenza, mantenendo i contatti. E se dovesse accadere che il tentativo all'estero non va a buon fine - per ragioni varie, come difficolta' di inserimento sociale o economico o anche solo per nostalgia - e' fondamentale aiutare il ritorno", aggiunge Ancona.
In ogni caso, che si decida di espatriare, di tornare o di restare, un elemento che fa la differenza, per rispondere a una situazione di disagio, e' il proprio grado di resilienza. È un concetto psicologico che indica la capacita' di far fronte a un problema reagendo in maniera positiva, provando a riorganizzarsi.
La capacita' di rimanere aperti alle novita' e superare le difficolta' e' indispensabile per riuscire a cogliere le opportunita' che si presentano. "Tale capacita' - la resilienza, appunto - puo' essere acquisita e migliorata, anche con interventi di sostegno psicologico mirati. Partire, come tornare, puo' comportare un impegno psicologico non da poco, tuttavia una riorganizzazione personale del genere puo' anche produrre una crescita", conclude il comunicato.
(Wel/ Dire)