L'educatrice: Prendere coscienza della condizione e' il primo passo
Roma, 12 feb. - Disorganizzazione nell'ambiente casalingo, difficolta' nell'organizzare gli spazi, tendenza a non liberarsi degli oggetti inutili, ad accumularne senza che abbiano un vero utilizzo. Abbigliamento, scarpe, senza gettare nulla perche' in futuro, chissa', potrebbero rivelarsi utili. È uno dei livelli del disturbo da accumulo, disturbo a cui e' stato dedicato l'incontro 'Come l'organizzazione genera benessere. Ovvero alleggerisci la tua casa per vivere felice', primo di una serie di eventi organizzati da Apoi, l'Associazione Professional Organizers Italia, e Comune di Bologna con l'obiettivo di attuare azioni di sensibilizzazione e prevenzione riguardo alla disposofobia. Come detto, ci sono vari stadi: nelle situazioni piu' gravi la casa viene poco a poco riempita e lo spazio della persona viene "mangiato". Comincia cosi' a isolarsi: piu' la casa offre meno spazio, piu' ci sono difficolta' nell'invitare gli altri e scompare l'aspetto della socializzazione.
"C'e' anche un aspetto di vergogna rispetto al mostrare il proprio spazio, questo se c'e' consapevolezza- spiega Elena Codogno, educatrice professionale, operatrice del Centro per le famiglie di Asp, referente del tavolo Ama - Gruppi di auto mutuo aiuto della Citta' Metropolitana, tra i relatori dell'incontro -. Una condizione simile porta con se' anche una maggiore difficolta' a gestire i rapporti con i familiari, che faticano a comprendere le motivazioni dietro agli atteggiamenti del parente. Tutto cio', naturalmente puo' leggersi come una metafora: come hanno spiegato le esperte di Apoi, la casa e' una fotografia di cio' che siamo noi. Riempire con oggetti non realmente utili e lasciare poco spazio a se', e' evidentemente significativo di un disagio profondo". Marco Menchetti, psichiatra, intervenendo al convegno ha parlato di ansia, depressione, traumi, eventi drammatici alla base di questi comportamenti. Le conseguenze? "Potenzialmente gravi: il rischio e' un disfacimento fisico e psico-emotivo", ha spiegato.
La scorsa primavera, Comune e Asl hanno siglato un accordo per mettere in campo una serie di potenziali attivita' per cercare di aiutare le persone con questo disturbo: tra queste, i gruppi auto-mutuo aiuto. Come spiega Codogno, i gruppi di auto-mutuo aiuto sono formati da persone - da pari, per l'esattezza - che condividono un problema: "Un momento particolare del proprio percorso di crescita, uno snodo complesso. Una problematica relazionale, un deterioramento cognitivo, una dipendenza, un disagio psichico". All'interno di questi gruppi non e' prevista la presenza di un esperto: "Questo non significa siano lasciati a se'. È prevista la figura del facilitatore, opportunamente formato, in grado di dirigere la comunicazione e favorire uno spazio funzionale affinche' tutti possano esprimersi. La propria esperienza e' il tassello fondamentale alla base dei gruppi di auto-mutuo aiuto: chi c'e' di piu' esperto di una persona che vive il problema?". Alzare la mano, cominciare a raccontarsi andando oltre la vergogna, e' fondamentale: "Condividere permette di alleviare il peso che si porta, di alleggerire la fatica di un particolare momento che si sta vivendo. Come dicono le mie colleghe, e' come avere un masso sulla schiena. Parlando, questo masso si frantuma in sassi piu' piccoli, consentendo a ciascuno di portarne uno. I gruppi di auto-mutuo aiuto fanno si' che quel peso sia vissuto in maniera diversa".
Sono oltre 120 i gruppi di auto-mutuo aiuto attivi nel distretto bolognese: gruppi di genitori con figli adolescenti, gruppi per affrontare separazioni, dipendenze da sostanze, gioco, cibo, affettive. Gruppi per sostenere solitudini, violenze, maltrattamenti, difficolta' relazionali. Gruppi per alleviare il peso di familiari di persone con un disagio psichico, con un deterioramento cognitivo. "Un gruppo, per nascere, ha bisogno solo di una cosa: di una presa di consapevolezza del proprio problema".
(Wel/ Dire)