Maternita' e Reclusione AL CENTRO DEL VENERDi' CULTURALE A ROMA IL 13 DICEMBRE
Roma, 3 dic. - "L'insieme dei processi psichici ed emotivi, che si sviluppano e si integrano come conseguenza della maternita', hanno una complessita' paragonabile a quella dei grandi passaggi di crisi e di costruzione, come la puberta' e l'adolescenza. La madre, per il collettivo, e' da sempre colei che ha il compito di prendersi cura della vita di chi ha generato, e' la caregiver buona che rinuncia a se stessa per amore del figlio. Sicuramente in parte e' anche questa, ma non solo! L'aforisma della scrittrice e poetessa Erica Jong, con grande semplicita' descrive metaforicamente le dinamiche ambivalenti che costellano il divenire madre, meglio di un manuale diagnostico. Dire che la maternita' rappresenta uno stato simile alla follia, da un lato e al divino dall'altro, significa rappresentare l'ambivalenza della psiche come ci ha insegnato Jung". Parte da qui l'articolo di Anna Maria Cosenza, psicoterapeuta junghiana, che il 13 dicembre parlera' de 'L'ambivalenza della nascita nella psiche delle madri. Maternita' e reclusione' al Venerdi' culturale promosso dalla Fondazione MIte, in collaborazione con l'Istituto di Ortofonologia (IdO), a Roma nella sede IdO in Corso d'Italia 38/A dalle ore 21.
"Infatti, indipendentemente dalla volonta' della persona, riemerge in maniera preponderante il mondo aggrovigliato dei vissuti non risolti con i quali una donna, prima come figlia e dopo come madre, dovra' confrontarsi. Nel momento in cui la donna scopre di aspettare un figlio- prosegue la psicoterapeuta- la sua identita' non sara' mai piu' la stessa, questo se da una parte e' straordinario e quindi 'divino', dall'altra e' perturbante, quindi 'folle'". A descrivere bene i sentimenti, che investono la donna durante e dopo la gravidanza, e' stato per primo lo psicoanalista inglese D. W. Winnicott, quando ci parla della: "Preoccupazione materna primaria", che definisce come "quello stato di organizzazione '(che sarebbe una malattia se non vi fosse il fatto della gravidanza), potrebbe essere paragonato ad uno stato di ritiro, ad uno stato di dissociazione, ad una fuga o perfino ad un disturbo piu' profondo...'. Tutte le donne vivono questa 'malattia naturale'- spiega Cosenza- che, seppur primitiva, e' fondamentale per il determinarsi della relazione simbiotica della madre con il figlio. Questa condizione, che inizia poco prima del parto e dura fino al quarto mese dopo la nascita, determina nella donna il ritorno ad essere 'piccola'.
Pertanto da una parte attiva l'inizio di una relazione comunicativa atta a soddisfare i bisogni del bambino, dall'altra introduce una dimensione di assoluta fragilita', per l'emergere dei sentimenti di paura, di disorientamento e di inadeguatezza".
Il tutto e' vissuto in maniera "assolutamente inconsapevole. Per superare questa fase 'primitiva' e' necessaria la presenza di un ambiente 'sufficientemente buono', in grado di garantire protezione e contenimento alla madre, in tal modo ne risentirebbe positivamente anche il bambino, che inizierebbe ad esistere.
Quando questa situazione non rientra, poiche', le aree di fragilita' hanno fatto emergere i nodi psichici non risolti, fino a quel momento rimasti nascosti alla consapevolezza, si va incontro ad una fuga dalla sanita'", aggiunge Cosenza.
L'intervento che "propongo e' una riflessione sulla maternita' e sui suoi aspetti disfunzionali. Il mio interesse, rivolto alla psiche delle madri, e' nato dall'incontro con le donne recluse per infanticidio, incontrate sia all'interno degli Istituti Penitenziari, sia nell'SPDC dell'Ospedale Sant'Andrea di Roma, durante la mia formazione. Nel contesto carcerario e non solo- racconta l'esperta- il dolore di queste 'vite spezzate', che non sono riuscite ad essere sufficientemente buone con se stesse, come ci insegna Winnicott, assume molteplici sfumature e, nella maggior parte dei casi, non riesce ad umanizzarsi poiche' la nicchia dove si e' stanziato non ne permette l'accesso".
Il "fil rouge" che attraversa questo lavoro cerca di "restituire un senso alla sofferenza psichica di queste madri, seguendo l'impostazione junghiana della cura fondata sulla relazione umana. La maternita' dai molti volti, incontrata sia dentro sia fuori le mura, e' il materiale vivo con cui ho potuto e continuo a confrontarmi. Ringrazio tutte le donne 'recluse dentro' per avermi resa partecipe del proprio dolore affidandomelo, perche' questo mi ha permesso di crescere insieme a loro e di arricchire la mia anima", conclude la psicoterapeuta junghiana.
(Red/ Dire)