Roma, 3 dic. - Il 4% dei detenuti e' affetto da disturbi psicotici contro l'1% della popolazione generale. La depressione colpisce il 10% dei reclusi, mentre il 65% convive con un disturbo della personalita'.
"Abbiamo oltre 60.000 detenuti e tra questi si stima che almeno la meta' abbia una sofferenza di tipo mentale", ricorda Luciano Lucania, presidente della Societa' Italiana di Medicina e Sanita' Penitenziaria. È la fotografia emersa nelle carceri italiane, dove la malattia mentale e' molto piu' presente di quel che si pensa. Di fronte a questa necessita', nel 2016 e' nato il progetto 'Insieme - Carcere e Salute mentale', i cui risultati sono stati presentati a Bari lo scorso 27 novembre, quale risposta concreta all'isolamento e allo shock che la detenzione puo' veicolare. "Nelle carceri il problema e' delicato, il tasso di disturbi psichici e' molto elevato, ma spesso e' connesso a disturbi che non hanno influenza sulla commissione del reato.
Legati, piuttosto, alla condizione di detenzione", spiega Enrico Zanalda, presidente della Societa' Italiana di Psichiatria (Sip). 'Insieme' ha coinvolto 16 istituti penitenziari italiani per 3 anni e ha tentato di ripartire dall'analisi concreta delle carceri, coadiuvando il percorso riabilitativo dei detenuti in detenzione e al momento del rilascio, fino a giungere alla pubblicazione di un Pdta per la gestione del detenuto affetto da disturbi.
Tanti i tempi in campo, dalla condizione dei migranti autori di reato alla modifica necessaria del Codice Penale. "Insistiamo sull'incremento dell'assistenza psichiatrica negli istituti di pena, sulla riforma del Codice Penale e sull'abolizione del doppio binario", puntualizza Zanalda. Nel Codice, infatti, "abbiamo ancora il ricorso agli Opg o alle case di cura e custodia. E i magistrati, per lo piu', lo intendono come Rems, come se queste fossero il diretto sostituto degli Opg. Non lo sono". Il sostituto reale degli Opg, a detta del presidente Sip, sono infatti "i percorsi di cura dei dipartimenti di salute mentale sul territorio. Solo una piccola parte devono arrivare alle Rems". Le buone prassi esistono, basterebbe solo conoscerle e riprodurle. Come accade nel Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Bari, dove c'e' "un Ufficio di Salute mentale penitenziaria che coordina gli specialisti psichiatri e psicologi, i tecnici della riabilitazione e i neuropsichiatri infantili che operano negli istituti di pena- spiega il direttore Domenico Semisa- L'ufficio tiene anche i legami con l'assistenza intra-carceraria, i servizi territoriali, la magistratura e gli Uffici locali per l'esecuzione penale esterna". La salute mentale in carcere si complica soprattutto in virtu' dei nuovi trend emergenti.
"In tutto il mondo, ormai, gli istituti di pena sono luogo di concentrazione non soltanto di detenuti portatori di problemi, in relazione alle loro caratteristiche e al reato compiuto, ma anche di quelle popolazioni che generalmente definiamo migranti e tossicodipendenti autori di reato", riflette Massimo Clerici, presidente della Societa' italiana di psichiatria delle dipendenze (SipDip). La popolazione migrante in carcere soffre in percentuale significativa "di un disturbo post-traumatico da stress", con incidenze che variano dal 4% al 20% dei detenuti migranti. I tossicodipendenti, continua Clerici, "hanno il problema della doppia diagnosi: la compresenza di problematiche legate alle sostanze e ai disturbi mentali, spesso indotti proprio dall'uso di queste". La tipologia del tossicodipendente in carcere e' il poliabusatore, tra le sostanze prevalgono gli stimolanti che a differenza degli oppiacei hanno un particolare tropismo per il cervello. "Agevolano la malattia mentale".
(Red/ Dire)