IdO: Aiuta la clinica, amplifica processi che rischiano di restare occulti
Roma, 20 nov. - "Gli intrecci tra psicologia ed arte sono creativi se finalizzati ad affinare l'insight, quella capacita' di comprendere piu' a fondo il proprio se' e il mondo esterno. E non sempre si riesce a farlo attraverso la parola". Lo spiega Roberto Boccalon, presidente dell'Associazione Internazionale di Arte e Psicologia (IAAPs), in occasione dell'ultimo 'Venerdi' culturale' dell'IdO.
"Freud aveva individuato nel sogno e nella relazione empatica, intertransferale, la possibilita' di arrivare dove la parola non arriva. Munch riconosce la valenza narrativa delle immagini e i suoi quadri come diari. Le immagini permettono di veicolare dei contenuti del mondo interno che non sempre possono essere espressi con le parole. Dante aveva scritto- ricorda lo psichiatra- 'Trasumanar significar per verba non si pori'a', ovvero che l'esperienza dell'estasi difficilmente si puo' esprimere in forma di parole e lo stesso Jung affermava che 'Spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto attorno a cui l'intelletto si affanna inutilmente'".
Esperienze di utilizzo dell'arte nell'ambito della clinica si sono sviluppate a partire dagli anni '40 e '50, prevalentemente nel mondo anglosassone. "Possiamo individuare due filoni- spiega Boccalon- uno e' legato alla psicoanalista junghiana Margaret Naumburg che parlo' di 'Arte nella terapia', e l'altro fu proposto dalla collega Edith Kramer che punto' su 'L'arte come terapia'. Nel primo caso si utilizza la produzione estetica all'interno della terapia per comprendere le motivazioni inconsce inscritte nel prodotto stesso. Nell'altro caso, invece, il processo estetico diventa di per se' una specie di porto franco che permette di rimodellare e dare una possibilita' vitale a quelle parti che altrimenti rimarrebbero silenti".
Il concetto di base e' che anche quando tutto sembra compromesso dal punto di vista psicopatologico - per citare Silvano Arieti, noto psichiatra e psicoanalista - nell'essere umano la possibilita' di creare persiste. "Gli esseri umani hanno una risorsa nella creativita' anche quando gli altri canali sono bloccati. Le persone possono avere diversi livelli di talento- continua Boccalon- e puo' esserci un grande talento artistico disgiunto dal maggiore o minore livello intellettivo o dal maggiore o minore equilibrio sul piano psicopatologico".
Il presidente IAAPs fa piazza pulita rispetto ai pregiudizi del passato: "Prima si pensava che le persone con disturbo psicopatologico non potevano produrre nulla di particolarmente significativo, o al contrario che la sregolatezza fosse una caratteristica fondamentale per essere artisti. Invece nulla come la produzione artistica richiede una grossa capacita' intuitiva e un forte rigore per tenere insieme le spinte divergenti che il pensiero creativo porta con se'. Rileggendo Peter Pan mi ha colpito il rapporto non facilissimo tra Wendy e Trilli- sottolinea lo psichiatra- dove la prima faticosamente ricuce l'ombra di Peter Pan e la seconda si affida alla bacchetta magica. Mi piace immaginare che il lavoro terapeutico attraverso l'arte abbia a che fare con la pazienza di Wendy nel rammendare l'ombra di Peter Pan. Il rammendo ci riporta anche alla parola rammentare- conclude Boccalon- attraverso un 'creativo' riprendere il filo della trama soggettiva e' possibile arrivare al ricordo e alla verbalizzazione".
Sul rapporto tra arte e clinica in eta' evolutiva si sofferma Magda Di Renzo, responsabile del servizio terapie dell'IdO: "L'arte e' di grandissimo aiuto alla clinica perche' consente di amplificare quei processi che rischiano di rimanere occulti in una dimensione che bada soltanto al prodotto. Nel percorrere strade inconsuete l'artista ci consente di metterci in rapporto con i tanti percorsi che la psiche puo' fare per imparare a costruire il mondo. Cosa che non possono fare le teorie stadiali del disegno, che sono basate sulle valutazioni statistiche- spiega la psicoterapeuta dell'eta' evolutiva- per indagare quali siano le forme maggiormente espresse a tre, quattro e cinque anni. Se e' naturale lavorare cosi' per una teoria, lo e' meno di fronte a un bambino che presenta delle vulnerabilita'- sottolinea la psicoanalista- e con il quale occorre avere degli strumenti che ci consentano una lettura a grandangolo di tutte le processualita'".
Di Renzo ha imparato moltissimo dalla sua esperienza con i bambini non udenti e con quelli con importanti disturbi neurologici. "I primi non sono condizionati dal mondo esterno, i secondi sono fortemente condizionati da un deficit interno, avendo delle modalita' assolutamente inconsuete di esprimere il loro mondo interno. Sono riuscita a trovare la risposta al loro modo di interpretare la realta' attraverso le immagini di grandi artisti e ripercorrendo la storia del segno nell'umanita'- fa sapere la psicoterapeuta- che mi ha permesso di scoprire le diverse posizioni. La storia dell'arte ci ha insegnato che la correzione e' qualcosa che viene dopo, prima abbiamo uno schema, ma siamo fortemente condizionati dal prodotto e non riusciamo a entrare nei processi. In questo senso credo- conclude Di Renzo- che l'arte sia un grande contributo per la clinica".
(Wel/ Dire)