L'analisi Federico Bianchi di Castelbianco sul Secolo XIX
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 26 set. - "Come accade sempre dopo ogni tragedia, vi e' il momento delle domande come se le risposte potessero in qualche modo placare lo stupore e giustificare lo sgomento per un delitto che coinvolge giovani adolescenti e forse addirittura prevenire altri drammi. In questa tragedia le attenzioni si sono rivolte ai comportamenti adolescenziali, al ruolo delle famiglie e all'ombra pesantissima del femminicidio che sta emergendo sempre di piu' in ogni parte d'Italia e soprattutto in tutte le fasce d'eta', dai giovani agli anziani". Lo afferma Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'eta' evolutiva, commentando il caso di Noemi sul Secolo XIX.
"Il cambiamento dei ruoli in societa' ha mostrato le vulnerabilita' e le debolezze degli uomini che non sono riusciti a stare al passo con una evoluzione sociale che ha messo in risalto la forza del sesso 'debole', il loro modo di pensare e anche la loro voglia di essere presenti nel mondo decisionale a partire dalla coppia e dalla famiglia. Cosi' assistiamo a scene di violenza da parte di persone incapaci di gestire una relazione, di sapersi confrontare con il partner. E quando avviene la constatazione della propria debolezza- continua lo psicoterapeuta- scatta un'esplosione di rabbia, che purtroppo spesso si traduce in gesti di insana follia. Il mondo giovanile e' sotto la lente dei Media, degli esperti e di tutti gli adulti che non si capacitano come avvengano queste tragedie. Spesso il parlar comune addossa la responsabilita' a un momento di pazzia, ma dobbiamo riconoscere i nostri errori e soprattutto quello di far finta di non vedere. Tutte le volte si ricomincia da capo con le stesse domande, le stesse pseudo giustificazioni, questo non e' modo di fare per essere e mostrarsi adulti. Dobbiamo ammetterlo, con la nostra indifferenza abbiamo facilitato e anche silenziosamente giustificato l'aggressivita' e il pensiero violento, che come prassi e' ormai estremamente diffusa tra i giovani. Noi come risposta gli abbiamo dato un'etichetta, 'disagio giovanile' o 'bullismo', per poterlo circoscrivere, cosi' noi adulti lo neghiamo o lo minimizziamo per non essere coinvolti, e soprattutto per non porci domande che metterebbero in discussione il nostro comportamento".
Castelbianco continua: "Questa violenza tra i giovani e' determinata dall'aggressivita' verso tutti, a iniziare dai genitori. Aggressivita' che si trasforma in rabbia e ormai registriamo con una frequenza inaccettabile il fatto che i figli insultino e alzino le mani verso i genitori, che dal canto loro non cercano le cause ma provano a giustificarli in tutti i modi. Il piu' semplice ritornello sulla bocca di tanti riguarda, a seconda dell'eta' dei figli, 'i bambini non sono piu' come una volta', 'l'adolescenza e' per antonomasia bizzarra', devono crescere, maturare. Cosi' tutti aspettano sperando in un cambiamento, ma la verita' e' che l'aggressivita' e' presente fin da piccolissimi. Purtroppo crescono con quest'aggressivita' che si trasforma in rabbia e li condiziona, esaspera il loro modo di relazionarsi. Nella tragedia di Noemi sembra che il padre del ragazzo sia stato complice nel cercare di proteggere il figlio nascondendo il corpo della vittima e di aver addirittura accusato la ragazza come se fosse lei la responsabile della propria morte. Salta agli occhi la differenza con il padre immigrato dei due ragazzi, che a Rimini ha convinto i propri figli a costituirsi. Purtroppo c'e' una domanda inespressa che spaventa tutti noi, ma che non possiamo lasciare silenziosa: quanto e' accaduto si potra' ripetere? La risposta e' si'. Non abbiamo motivi di sperare che resti un caso isolato, avverranno ancora e se fossimo veramente adulti invece di stupirci sempre, dovremmo tutti iniziare anche con piccole cose a dare un esempio di persone mature e non mostrarci indifferenti- conclude- con la scusa che sono tragedie che riguardano solo gli altri".
(Wel/ Dire)