Roma, 22 feb. - Il Covid è associato a un rischio maggiore di sviluppare disturbi gastrointestinali a lungo termine, inclusa la sindrome dell'intestino irritabile. A mostrarlo sono gli esiti di una ricerca -pubblicata sulla rivista Gut- guidata da studiosi dell'Università di Bologna e dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna-Policlinico di Sant'Orsola. "I dati che abbiamo raccolto mostrano che chi ha contratto il Covid-19 presenta sintomi gastrointestinali più di frequente rispetto a chi non è stato colpito dal coronavirus", spiega Giovanni Barbara, professore ordinario al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell'Università di Bologna e coordinatore dello studio. "Data l'elevata diffusione del Covid a livello globale, dobbiamo quindi aspettarci un aumento delle diagnosi legate ai disturbi dell'interazione intestino-cervello".
Le infezioni virali possono colpire il sistema gastrointestinale e favorire in particolare lo sviluppo della sindrome dell'intestino irritabile: una condizione che tende ad essere cronica, caratterizzata da una serie di disturbi intestinali che interessano il colon, tra cui alterazioni della motilità intestinale, gonfiore e crampi addominali. Fino ad oggi però non era chiaro se anche l'infezione da coronavirus potesse portare a queste conseguenze. Gli studiosi hanno quindi realizzato un'indagine per valutare la prevalenza dei sintomi gastrointestinali e dei disturbi dell'interazione intestino-cervello nei pazienti ricoverati per infezione da SARS-CoV-2. Lo studio ha coinvolto 2.183 pazienti ospedalizzati in 36 strutture di 14 paesi: Italia, Bangladesh, Cipro, Egitto, Israele, India, Macedonia, Malesia, Romania, Federazione Russa, Serbia, Spagna, Svezia e Turchia.
I pazienti che avevano contratto il Covid sono stati valutati al momento del ricovero in ospedale e poi seguiti per i 12 mesi successivi, confrontando la loro condizione con quella di pazienti non contagiati dal coronavirus. I dati raccolti e le analisi realizzate dagli studiosi hanno così mostrato che i pazienti ricoverati per Covid hanno riportato più di frequente la presenza di sintomi gastrointestinali (59,3%) rispetto al gruppo di controllo (39,7%). E sono emerse più di frequente anche nuove diagnosi di sindrome dell'intestino irritabile, che sono risultate associate alla coesistenza di allergie, difficoltà respiratorie durante il ricovero per Covid e assunzione cronica di inibitori della pompa protonica (farmaci gastroprotettori che bloccano la produzione di acido nello stomaco). Inoltre, a distanza di sei e di 12 mesi dall'ospedalizzazione, tra chi ha avuto il Covid-19 sono stati registrati livelli più alti di ansia e di depressione.
"Sappiamo che il virus SARS-CoV-2 può infettare anche il tratto gastrointestinale e questo conferma la possibilità che il Covid possa portare allo sviluppo della sindrome dell'intestino irritabile", spiega Giovanni Marasco, ricercatore al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell'Università di Bologna e primo autore dello studio. "Tracce del coronavirus sono infatti state trovate nell'intestino tenue anche a sei mesi di distanza dall'infezione: questo ci porta a credere che lo stato prolungato di infiammazione e di attivazione del sistema immunitario possa portare allo sviluppo dei sintomi gastrointestinali che sono stati osservati".
(Red)