Roma, 7 lug. - Istituire un Osservatorio epidemiologico nazionale sulla salute in carcere, creare una rete di reparti di medicina protetta e rivedere la normativa riguardante i problemi di salute mentale negli istituti penitenziari. Detta la linea con questi tre interventi Luciano Lucania, presidente della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), da realizzare "presto e bene" per migliorare il futuro sanitario delle carceri italiane. "Oggi la situazione è molto complessa- spiega Lucania- non tanto e non solo per l'emergenza Covid, nei confronti della quale c'è stata una forte azione sia di noi medici, sia delle aziende sanitarie locali- dice- perché mai come in questo momento registriamo la presenza di patologie di tipo infettivologico, internistico e oncologico che oggettivamente creano delle importanti difficoltà di gestione e trattamento all'interno degli istituti". Oggi "rispetto a 10-20 anni fa- sottolinea il presidente Simspe- la persona che arriva in carcere raramente non ha un carico di patologie che è assimilabile a quello della popolazione generale. Non siamo una nazione di sani- dice- finché non c'è stato il Covid non conoscevamo l'acuto, ma il cronico lo abbiamo sempre conosciuto tutti. Il carcere è speculare alla realtà del Paese e questo deve farci riflettere sul modello di erogazione dell'attività sanitaria dentro agli istituti".
Innanzitutto l'Osservatorio. "Sono 10 anni che lo chiediamo- evidenzia Lucania- perché avere una raccolta di dati che confluisca in un database nazionale sarebbe importante per far capire a chi deve prendere decisioni a livello politico, regionale e medico, su che tipo di assistenza sanitaria puntare. L'assistenza, infatti, non è uniforme- precisa Lucania- ma è modulata e tarata su quelle che sono le esigenze di salute delle persone. Se ad esempio una determinata comunità ha al suo interno delle situazioni cliniche di natura cardiologica, allora l'azienda sanitaria dovrà implementare delle attività specifiche per questo tipo di problemi".
Tutto questo tenendo ben presente che "l'attività sanitaria in carcere può arrivare solo fino a un certo punto- evidenzia il medico- negli istituti, ad esempio, non si possono fare esami invasivi o che hanno bisogno di sedazione venosa, per molte cose è necessario l'ospedale". Da qui la necessità "di creare in ogni regione una rete di reparti di medicina protetta- dice Lucania- ossia reparti, all'interno di grandi ospedali, che abbiano una struttura di tipo detentivo, con un nucleo stabile e permanente di polizia penitenziaria, dove i detenuti malati possano ricevere tutte le cure di cui hanno bisogno stando però in un ambiente tutelato". Al momento in Italia "ce ne sono meno di una decina", chiarisce il presidente Simspe.
Infine "non bisogna dimenticare il tema della salute mentale- sottolinea Lucania- perché mai come adesso vi è un'esplosione di situazioni di disagio che non sempre sono patologie, nel senso classico della malattia mentale, ma sono situazioni contingenti, anche di deprivazione di sostanze stupefacenti". Per questo secondo Lucania bisogna rivedere la normativa sulla gestione della salute mentale in carcere e sottolineare i limiti della Rems, ovvero le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza che "non riescono ad ospitare tutti gli internati, in particolare quelli 'provvisori'. Su questo, però- tiene a sottolineare il medico- c'è una forte attenzione del ministero e presto sarà attivato un tavolo sull'argomento".
Se questi sono gli interventi 'a lunga scadenza', la sfida più immediata in ambito sanitario è quella dei vaccini anti Covid.
"Nonostante le difficoltà organizzative, stiamo andando avanti in tutto il Paese con buoni numeri- sottolinea Lucania- Inizialmente erano molti i detenuti diffidenti, ora la situazione è migliorata. Bisogna capire che in carcere la televisione è sempre accesa e tutto quello che viene detto ha una ridondanza maggiore. Le informazioni contrastanti che si sono succedute sui vaccini- sottolinea in conclusione il medico- hanno avuto un grande rimbombo in quell'ambiente, dove lo strumento culturale-critico che ognuno ha è ridotto e condizionato. Di certo la sfida ora è convincere a vaccinarsi anche i detenuti che non vogliono farlo".
(Red)