Roma, 13 mar. - Senza adeguato consenso informato il medico deve risarcire il paziente. Torna ancora sull'indispensabilita' del consenso la VI sezione civile della Cassazione che con l'ordinanza 6449 del 6 marzo 2019 ha confermato la condanna al risarcimento da parte della struttura in cui il medico (nel frattempo defunto) operava di 561.726,47 euro piu' le spese di giudizio.
IL FATTO Un paziente ha chiamato in giudizio davanti al Tribunale della sua citta' una Universita' e un medico che in questa operava, chiedendo fossero condannati al risarcimento dei danni conseguenti alla non corretta esecuzione di un intervento chirurgico da lui subito, lamentando tra l'altro di non essere stato adeguatamente informato delle possibili conseguenze negative dell'intervento. Sia l'Universita', sia l'erede del medico hanno chiesto il rigetto della domanda.
Dichiarata l'incompetenza per territorio in relazione alla domanda contro il professionista, il Tribunale ha invece accolto la domanda nei confronti dell'Universita', che ha condannato al pagamento d di 561.726,47 euro oltre le spese di giudizio.
La Corte di Appello ha poi respinto il ricorso dell'Universita' e accolto quello incidentale del paziente sulla rivalutazione degli interessi e ha condannato l'Universita' al pagamento delle relative somme oltre che delle ulteriori spese del grado di giudizio.
L'ORDINANZA Il principio su cui si basa l'ordinanza della Cassazione e' che se manca il consenso informato, i sanitari sono tenuti a risarcire il paziente delle conseguenze dannose derivate da un intervento anche se questo e' stato correttamente eseguito e la correttezza accertata in giudizio.
Per la Corte di Cassazione la necessita' del consenso informato del paziente, anche prima dell'entrata in vigore delle norme che lo hanno regolamentato era desumibile dai principi generali dell'ordinamento.
Quindi non aveva necessita' di una previsione specifica ed era valida anche all'epoca dell'intervento su cui si basa la richiesta di risarcimento.
Secondo la Cassazione il ricorso dell'Universita' non contesta in alcun modo l'affermazione della sentenza secondo cui "la mancanza del consenso informato doveva essere data per pacifica in assenza di contestazioni nel giudizio di primo grado".
Inoltre, il ricorso non dice nulla sul fatto che il profilo dell'esistenza del consenso fu sollevato per la prima volta in appello.
"Cio' posto - sottolinea la Cassazione nell'ordinanza - la censura di pretesa applicazione retroattiva delle norme suindicate e' destituita di fondamento, perche', come correttamente ha rilevato la Corte d'appello, la necessita' di un consenso informato era desumibile dai principi generali dell'ordinamento, senza che fosse necessaria una qualche previsione specifica".
Inammissibile anche la contestazione dell'Universita' che sostiene vi fosse stato un consenso informato.
"Posto che la Corte d'Appello - spiega la Cassazione - ha valutato la deposizione testimoniale e l'ha ritenuta insufficiente a supportare la tesi dell'appellante (del consenso informato appunto), per cui il tornare sulla questione si risolve in modo evidente nel tentativo di sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito".
Secondo l'Universita', infatti, il paziante sarebbe stato a suo tempo, adeguatamente informato dei rischi dell'intervento, "ma tale deduzione - sorrolinenano i giudici - e' stata ritenuta dalla Corte di merito insufficiente, posto che si fondava su una deposizione (quella della madre del paziente) talmente generica che non consentiva di comprendere quali informazioni fossero state realmente fornite" al paziente.
Quindi, secondo la Cassazione, il ricorso e' rigettato e non essendo stata contestata in alcun modo l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la mancanza di consenso informato doveva essere data per pacifica, le conseguenze della sua assenza restano e l'Universita' dovra' pagare a questo punto, oltre a piu' di mezzo milione di euro, anche le spese del giudizio di Cassazione.
(leggi la sentenza)
(Red)