Roma, 11 gen. - Gentile Direttore, giorni fa parlando dei 40 anni del nostro SSN un giovane giornalista di un importante quotidiano mi chiese: "ma prima com'era?". Inizia cosi' una lettera aperta, pubblicata da Quotidiano Sanita', di Angelo Tanese, direttore generale ASL Roma 1 e Comitato promotore Convention Fiaso.
Ecco, in quella domanda fatta da chi orienta l'opinione pubblica ho visto quanto l'assenza di memoria storica determini poi perdita di valore per qualcosa che ancora oggi molti ci invidiano: un sistema di assistenza universalistico, che assicura a tutti, indipendentemente da reddito, condizione lavorativa e sociale, la tutela del bene piu' prezioso, la nostra salute.
Tanto per capirci, in Francia la Securite' Sociale garantisce il grosso delle prestazioni solo in regime di assistenza indiretta. Prima paghi e poi ottieni il rimborso.
In Germania le Krankenkassen non coprono l'intera popolazione e il sistema di protezione sanitaria varia a seconda del tipo di mutua. Nel Regno Unito l'NHS, il sistema sanitario pubblico al quale il nostro si e' ispirato, e' da anni soggetto a tagli cosi' massicci da aver spinto due anni fa 200mila cittadini britannici a scendere in piazza a Londra per difendere quel bene prezioso.
Noi, possiamo dirlo con orgoglio, abbiamo reso sostenibile in questi anni il nostro SSN cambiando i modelli gestionali, ottimizzando l'uso delle risorse e del personale, pur carente.
Nel festeggiare in questi mesi il nostro SSN dovremmo anche riconoscere il valore di quella svolta che fu nel '92 l'aziendalizzazione del sistema. Se pur con diseguaglianze territoriali e tante difficolta' conserviamo oggi un impianto universalistico questo lo dobbiamo innanzitutto alle tante volte vituperate aziende sanitarie, alla loro autonomia gestionale che la pancia della politica e del mondo professionale, soprattutto in quella fase di passaggio dalle USL alle Aziende non digeri' fino in fondo.
Quando a meta' degli anni '90 le Aziende iniziano a scaldare i motori la spesa sanitaria viaggia da tempo a un ritmo del piu' 15% l'anno e il deficit ereditato dalle vecchie USL vale un'intera legge finanziaria di lacrime e sangue. A chi assimila ancora oggi la nostra sanita' a un carrozzone inefficiente e lottizzato dalla politica, magari sognando una virata verso le assicurazioni private, bisognerebbe ricordare che da allora i deficit sono stati azzerati senza discriminare la qualita' dell'offerta, come indicano tutti gli indicatori di salute.
Perche' in venticinque anni l'aspettativa di vita e' cresciuta di 10 anni e sempre piu' in buona condizione, cosi' come gli esiti monitorati dal Piano nazionale dell'Agenas sono in costante miglioramento e, salvo eccezioni come per il numero ancora eccessivo di parti cesarei, collocano le nostre performance ai vertici d'Europa. Questo significa che il management ha tenuto la barra a dritta in tutti questi anni, imparando a fare sempre di piu' con meno. E se abbiamo garantito la sostenibilita' del sistema lo si deve alla capacita' di cambiare, adattarsi a nuovi bisogni e tecnologie, sapendo al contempo che non poteva esserci universalismo senza tenuta dei conti.
E' stata una lunga marcia. Una storia di tre atti, come ho provato a raccontare nel libro "Il ruolo del management nel Servizio sanitario" edito da Egea. Il primo decennio che a partire dalla meta' degli anni '90 vede alla testa delle neo nate Aziende un uomo solo al comando. Direttori Generali molto autonomi ma con una minore coesione e una governance di sistema giocoforza piu' sfilacciata.
La seconda fase e' quella della crisi finanziaria con la conseguente inaugurazione dei piani di rientro e dei commissari in molte Regioni. Bisogna fare i conti con il blocco del turn over del quale stiamo pagando il conto, e diminuiscono gli investimenti. Una stagione molto difficile che va dal 2006 al 2016, e che stiamo superando perche' ciascuno, manager e professionisti, cosi' come le stesse amministrazioni regionali, ha fatto la sua parte. Ma e' anche una prova che ha finito per fare bene al sistema, perche' il dover fare tanto con meno induce ad ingegnerizzarsi per fare in modo diverso, oltre che per ridurre sprechi e inefficienze.
E cosi' sbarchiamo all'alba della terza fase, quella che stiamo vivendo. Il sistema oggi puo' e deve tornare ad investire, in primis sul capitale umano, e consolidare nuovi modelli organizzativi, con servizi piu' integrati tra loro e sempre piu' centrati sul paziente.
Non e' piu' quest'ultimo a doversi spostare in cerca del professionista e della prestazione, ma stiamo entrando in una prospettiva di continuita' e multidisciplinarieta' degli interventi, con e'quipe trasversali e non di rado itineranti. Tra le cure primarie e l'ospedale va ampliandosi lo spazio per l'offerta di cure intermedie, con Rsa, assistenza domiciliare integrata, strutture riabilitative, ambulatori infermieristici e processi assistenziali nei quali le aziende operano in rete.
Tutto questo mentre la medicina di precisione ci proietta in un futuro prossimo, in cui sara' possibile personalizzare sempre piu' i percorsi diagnostico-terapeutici, spingendo al massimo la gestione condivisa delle informazioni. Cambiamenti che hanno gia' imposto trasformazioni sul piano istituzionale con aziende sempre piu' grandi e un ruolo delle Regioni sempre piu' forte. Non nel senso di un'anacronistica invasione della politica nella gestione, bensi' di una piu' forte programmazione e coesione degli interventi all'interno di sistemi sanitari meno frammentati. Che collocano le aziende all'interno di una vera holding di gruppo regionale.
In questo contesto il ruolo del management non puo' piu' limitarsi a razionalizzare la gestione, come e' stato sinora in larga parte, ma deve essenzialmente governare il cambiamento, motivando il personale e valorizzando il middle management, recuperando visione strategica e dialogando con tutti gli stakeholder interni e esterni, all'interno di un unico disegno regionale. Le ASL, in particolare, stanno oramai rileggendo la loro mission, configurandosi come "Agenzie per la salute" capaci di offrire risposte a tutto tondo ai bisogni sanitari della popolazione. E per far questo devono innovare il loro modo stesso di operare e relazionarsi con i cittadini, essere piu' compatte e coese internamente, ma anche legittimate a operare in un quadro istituzionale piu' maturo e consapevole a livello regionale e nazionale. Non all'interno di un gioco a somma zero insomma, tra livelli territoriali e istituzionali differenti, ma di una governance complessiva che garantisca il coordinamento e la programmazione degli interventi.
In questa partita il ruolo del management a tutti i suoi livelli sara' determinante. Investire su nuovi profili di manager del cambiamento, come da par suo sta facendo FIASO, e' una questione che non va confinata nell'ambito degli aspetti burocratici. E' una scelta strategica per la sussistenza di quel sistema sanitario pubblico e universalistico del quale vogliamo continuare a festeggiare gli anni. E' una necessita' per un Paese che per crescere ha bisogno di manager pubblici responsabili, competenti e motivati, in grado di assumere decisioni e attuarle.
(Wel/ Dire)