ROMA – Sì è avvalso della facoltà di non rispondere padre Andrea Melis, 60 anni, sacerdote dell’ordine degli Scolopi e parroco della chiesa di Sant’Antonio da Padova a Finale Ligure, in provincia di Savona, agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale su minore e tentata violenza aggravata nei confronti di un 12enne.
Il silenzio nell’interrogatorio di garanzia era annunciato e non allevia la gravità delle accuse né il rumore sinistro e inquietante dei dettagli emersi nelle carte dell’inchiesta: “La pericolosità di Melis è ancora maggiore se si pensa al fatto che è portatore di Hiv – scrive la giudice per le indagini preliminari Milena Catalano, che oggi ha visto il prelato fare scena muta – e che ha intrattenuto tutti i rapporti senza alcuna precauzione, condannando la sua giovane vittima alla stessa malattia di cui è portatore e quindi esponendolo al pericolo di Aids”.
Gli accertamenti medici ai quali è stata sottoposta la vittima al momento hanno dato esito negativo: non è sieropositiva. Dalle indagini è emerso che le terapie a cui si è sottoposto padre Melis hanno reso il virus non trasmissibile. Secondo quanto riferito dallo stesso padre Melis agli investigatori, avrebbe contratto il virus diversi anni addietro in Africa. E questo è il motivo per cui il pm Federico Panichi non ha contestato il reato di lesioni gravissime. “Le cose potrebbero cambiare però – scrive il quotidiano La Repubblica – in modo drammatico se nuovi, futuri test dessero un risultato positivo”.
I legali del prete in una nota hanno spiegato che “padre Melis vive con infezione da Hiv ma la sua situazione è in cura da 12 anni presso l’ospedale San Martino e da oltre 10 anni la terapia che sta seguendo ha dato esiti positivi, poiché i controlli che periodicamente esegue confermano la non rilevabilità del virus che quindi è totalmente sotto controllo e, per l’appunto, irrilevante. Quando il virus non è rilevabile non è nemmeno trasmissibile. Questo è un principio e una conquista dell’infettivologia. Colui il quale si trova in questa condizione non è neanche tenuto a comunicarla perché egli non rappresenta un pericolo per gli altri”. Tesi ben diversa da quella sostenuta dalla gip Milena Catalano, secondo la quale il comportamento di padre Melis, consapevole della sua malattia, sarebbe la conferma della sua estrema pericolosità.
Le indagini sugli abusi e le violenze sono partite dalla denuncia della madre di un chierichetto, che all’epoca dei fatti aveva 12 anni. Per tre anni, dal 2021 al 2024, il minore sarebbe stato costretto dal prete a compiere atti sessuali, in cambio di regali e denaro. Poi i sospetti dei genitori e la ricerca di messaggi incriminanti sullo smartphone. I fatti sono stati confermati dalla stessa vittima al pubblico ministero: “Faceva quel che faceva… a me non piaceva ma non gliel’ho mai detto perché mi dava dei soldi”. Su una carta prepagata intestata al ragazzino, secondo gli inquirenti sono transitati più di 4500 euro”. E non solo: al ragazzino il prete ha regalato anche una consolle Nintendo, abiti firmati, cene al ristorante. Poi c’è lo scambio dei messaggi: “Giovedì sera ci vediamo e ti consumo di kiss“, “mi piacerebbe stare con te, chiacchierata, coccole”.
Il sospetto degli inquirenti è che non sia l’unica vittima di padre Andrea Melis: altri quattro minorenni, tra i 15 e i 16 anni, sono già stati sentiti.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it