Roma, 30 mar. - Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione copernicana nel rapporto tra scuola e tecnologia? Secondo gli esperti dell'universita' di Milano Bicocca intervistati dall'agenzia di stampa Dire si'. A parlare sono Maria Grazia Riva, ordinaria di pedagogia e presidente della CUNSF, la conferenza universitaria nazionale dei dipartimenti di scienze della formazione; Elisabetta Nigris, ordinaria di didattica generale; Andrea Mangiatordi, docente di ambienti digitali per la formazione e ricercatore in didattica e pedagogia speciale.
A fronte di un 20% di studenti italiani tagliati fuori dalla didattica digitale, cosi' come riportano fonti ministeriali, abbiamo chiesto loro se cio' che si sta facendo sia sufficiente e quali rischi si stanno correndo in questa situazione di emergenza.
Secondo Riva "si puo' correre il rischio di perdere di vista una dimensione di riflessione complessa e scivolare, senza neanche rendersene conto, verso un uso totalizzante della didattica digitale". Se la didattica digitale non viene inserita nella "dimensione di senso della relazione tra insegnanti e allievi, dove la funzione di guida, orientamento e cura che svolgono insegnanti e dirigenti nei confronti di ragazzi e famiglie deve permanere" si rischia, dice Riva, "di fare della tecnologia un feticcio per l'ennesima volta".
Dunque si' all'innovazione ma attenzione a perdere di vista le finalita' costituzionali della scuola, le fa eco Nigris: "Se passa l'idea che l'uso della tecnologia puo' affinare la relazione educativa e didattica puo' essere molto dannoso. Non dimentichiamo che la didattica e' relazionale e comunicativa, non e' tecnica. C'e' una tecnocrazia imperante, anche nei nostri atenei, secondo la quale basterebbe creare un'aula virtuale per poter dire di avere innovato la didattica. No, semmai cosi' se ne innovano gli strumenti".
Al netto di un investimento politico in infrastrutture e formazione che colmino le lacune nella conoscenza ma anche i vuoti scavati dalla disuguaglianza sociale, cio' che occorre e' saper variare i canali della comunicazione e adeguarli ai bisogni, chiarisce Mangiatordi. Solo cosi' non si perderanno alunni e si raggiungera' quel 20% di esclusi: "Attraverso la tecnologia ho la fortuna di variare le modalita' con cui comunico con i miei alunni; inoltre, permetto loro di rispondermi perche' le tecnologie attivano molteplici modalita' di espressione; infine, c'e' una terza dimensione, che e' quella dell'engagement, ovvero come posso usare le tecnologie per favorire una forma di partecipazione e di valorizzazione dell'entusiasmo dei miei alunni".
Secondo Mangiatordi, esperto di didattica speciale, questo approccio all'insegnamento che normalmente si applica alla costruzione di una didattica inclusiva per chi ha bisogni educativi speciali "in questo momento puo' essere esteso a tutta la classe, perche' ciascuno di noi ha un bisogno educativo reso speciale dalle circostanze", tenendo ben presente che sull'apprendimento incidono tutte le nostre motivazioni ma anche tutte le nostre ansie. "Se ho in classe alunni con dislessia e voglio proporre dei testi- esemplifica il docente- io posso optare per testi non troppo lunghi, impaginati in un certo modo, che abbiano rimandi schematici, oppure posso proporre a tutti la costruzione autonoma di schemi e mappe concettuali. Ci sono gia' insegnanti che usano con successo tecniche specifiche per i disturbi dell'apprendimento in modo piu' ampio".
Tecnologia e relazione educativa o si combinano o si escludono, dunque: un dato assiomatico che secondo i tre docenti del dipartimento di scienze della formazione 'Riccardo Massa' della Bicocca dovrebbe essere sempre posto a fondamento del lavoro di preparazione della didattica. Si spiega meglio Nigris: "La prima preoccupazione di molti insegnanti e' stata dare compiti e cose da fare, soprattutto all'inizio della sospensione ma non solo". Andare avanti col programma, fare le verifiche, valutare "non e' l'obiettivo primario in questo momento. Ora, attraverso un rinventare i gesti del quotidiano, bisogna ricostruire il filo delle relazioni coi bambini e coi ragazzi, anche grazie a delle routine. Ogni bambino o ragazzo deve sentirsi guardato per quello che e'". Alcuni insegnanti di scuola primaria, si e' saputo, hanno dato cinque appuntamenti giornalieri ai bambini per videochiamarsi: "Questa diventa una routine che scandisce la giornata molto di piu' della lezione di matematica dalle 8 alle 9", sottolinea Nigris. La matematica si puo' fare preparando i biscotti oppure durante una videochiamata, l'importante e' non spersonalizzare la didattica. Un esperimento di scienze, fatto insieme e fatto da soli, ha un senso diverso. "Percio'- aggiunge Nigris- dovro' trovare esperienze che aiutino i ragazzi a sentirsi parte di cio' che viene proposto, della situazione che stanno vivendo e che quindi li integri in un contesto educativo di senso".
Cio' che va fatto, adesso piu' che mai, sollecita infine Nigris, e' "aiutare gli insegnanti a capire che serve una rivoluzione copernicana nella didattica", specie chi e' abituato a una didattica esclusivamente frontale. È l'obiettivo che ha ispirato la nascita di 'Bicocca con le scuole', portale per le scuole dell'infanzia e primarie creato per accompagnare il personale scolastico che "si sta attrezzando in corsa, ed e' una cosa bellissima" in questo particolare momento di transizione.
Tra i docenti del gruppo di lavoro c'e' anche Mangiatordi, abituato a tenere corsi da centinaia di studenti e che dunque ha uno sguardo rivolto anche agli alunni piu' grandi: "Le tecnologie ci possono suggerire modi piu' agili ma tutto sta nella strategia che ci metto dietro. Attraverso una buona piattaforma digitale e un buon lavoro preparatorio, diventa possibile tenere lo sguardo sulla classe- 'faccio un sondaggio per rilevare quanti di voi hanno capito'- insieme all'attenzione a quella percentuale di studenti che non ha capito e che e' il mio problema reale. Chi e' rimasto indietro, ad esempio, ha a disposizione un forum per fare domande specifiche. Il forum mi permette di ottimizzare il tempo da dedicare al gruppo e rilanciare le risposte dei singoli alla collettivita'".
Un cambiamento di prospettiva, pertanto, che dovrebbe diventare pratica nella scuola del futuro. Un disegno politico e' quello che serve secondo Riva, che infatti si augura "un board, una riflessione ampia, degli stati generali" per capire quale scuola riapriremo.
(Red/ Dire)