l'intervista di Chiara del liceo classico Minghetti di Bologna
Roma, 29 apr. - Maria Dalla Casa era adolescente durante la guerra e ha vissuto i bombardamenti e il fascismo. Oggi madre e nonna, ha raccontato la sua esperienza al microfono della nipote Chiara, che oggi ha la stessa eta' che aveva lei quando i palazzi di Bologna crollavano sotto le bombe degli alleati. Maria ne ha viste tante e ne ha ancora tante da dire. Un'intervista intima, in cui Maria parlava con gli occhi chiusi, come se tutti i ricordi le scorressero davanti, proprio come un fiume. Ho voluto intervistare una persona a me tanto cara che ne ha viste tante e ne ha ancora tante da dire.
Quando sei nata? "3 marzo 1935, a Bologna".
Che scuola elementare hai frequentato e com'era ai tempi del fascismo? "Ho frequentato la scuola Ercolani vicino porta San Vitale e San Donato, una scuola gestita dalle suore, la maestra era quindi una suora che indossava un cappello con grandi falde dall'aria molto severa. Il regime ci imponeva di indossare la divisa scolastica costituita un grembiule bianco e un colletto di pizzo sovrapposto (per i maschi un grembiule nero), e durante la ginnastica indossavamo una mantella e gonna larga entrambe nere e una maglietta bianca. A tal proposito mio padre antifascista non la voleva comprare, allora mia mamma che non voleva che avessi problemi me le acquisto' di seconda mano. Studiavamo italiano, matematica, storia e geografia, ma la mattina prima di iniziare la maestra controllava che fossimo pulite (in particolare le unghie) e in ordine e durante le lezione c'era molta disciplina à nonostante tutto una compagna mi sporco' tramite il pennino con dell'inchiostro nero apposta il grembiule à a proposito come dotazione avevamo appunto un pennino, l'inchiostro e un quaderno, i libri erano tre: italiano, matematica, storia e geografia un unico volume à mio padre mi compro' anche un atlante, un acquisto molto pregiato per l'epoca. Nei libri era presente la 'propaganda' e anche durante le lezioni à infatti ci facevano ascoltare tramite un altoparlante che amplificava la radio i discorsi in diretta del duce che dovevamo poi riassumere e commentare à me li ricordo noiosi e complicati à ero solo una bambina".
Come era la situazione economica della tua famiglia a quei tempi? "Prima della guerra stavamo bene perche' il mio papa' era un artigiano di successo, era un bravissimo calzolaio che faceva le scarpe su misura e aveva molti clienti benestanti, ma con lo scoppio della guerra gli affari sono cessati, e ci diedero una tessera con la quale potevamo ritirare degli alimenti che comunque non bastavano e quindi compravamo un po' di pane sul mercato nero,quando arrivarono i tedeschi rastrellarono tutti gli uomini in buona salute per mandarli a lavorare in Germania, ma mio padre non ci ando': il suo mestiere lo salvo' in quanto doveva riparare le scarpe e gli stivali dei tedeschi senza essere pagato, in cambio gli davano un pezzo di pane nero, molto strano per noi che mangiavamo solo pane bianco à mio padre quando scoppio' la guerra compro' del pellame con i risparmi pensando che poi una volta finita tutti avrebbero avuto bisogno di scarpe, ma i tedeschi gliela portarono via. Comunque un mio parente per paura di essere deportato in Germania si taglio' due ditaà ricordo che girava fasciato me lo dissero a guerra finita". Cosa ti ricordi dei bombardamenti ? "Prima che arrivassero le bombe passava un aereo che chiamavamo Pippo che precedeva il bombardamento, quindi andavamo in cantina e da li' sentivamo i fischi delle bombe e avevamo paura, mio padre una volta rimase prigioniero in un rifugio, bloccato dalle macerie del palazzo bombardato, riusci' comunque a liberarsi, ma da quel momento non utilizzammo piu' i rifugi di guerra, inizialmente la cantina con soffitto a volte, ma per la presenza dei topi neanche piu' quella e stavamo in casa speranzosi che il palazzo che si trova vicino a un importante ospedale (il Sant'Orsola) non venisse bombardato, di solito gli alleati non miravano agli edifici aventi sul tetto disegnata una croce rossa, e cosi' e' stato".
di Chiara Santagada, Liceo Classico Minghetti di Bologna (Red/ Dire)