È l'obiettivo del libro di Davide Pegoraro scritto in chiave pedagogica
(DIRE - Notiziario Scuola) Roma, 3 mar. - Riflettere sul 'Bisogno educativo speciale' (Bes) in chiave pedagogica per favorire una didattica inclusiva più che 'speciale', e non rimanere confinati in una visione riduttiva del disturbo/deficit ma guardare alla totalità della persona in una prospettiva bio-psico-sociale. È questo il messaggio lanciato da Davide Pegoraro, psicoterapeuta e autore del testo 'Bisogni educativi speciali. Per una scuola a misura dell'allievo', edito dalla Società editrice internazionale, Torino.
Un testo che tratta due problematiche centrali per l'attuale pedagogia: la 'politica dell'inclusione', che "invita a tenere conto delle differenze dei soggetti e a trovare il modo di includerli a pieno titolo nell'importante processo di simbolizzazione e di educazione svolto dalla scuola, contrastando in questo modo fenomeni di dispersione, spesso causa di dinamiche non simbolizzate di espulsione e/o autoespulsione che non sono riuscite o non riescono a fare posto ai soggetti"; e il concetto di 'svantaggio scolastico', con cui l'autore propone di compiere un "salto epistemologico per avviare un processo di svincolamento delle difficoltà nei processi di apprendimento da una visione esclusivamente deficitaria", giustificata addirittura con aree mal funzionanti del cervello, "nella direzione di una loro inclusione all'interno di un discorso che invece si basa sulla soggettività personale".
Pegoraro invita tutti a non far coincidere la difficoltà con la persona, producendo così "un'etichetta diagnostica chiusa senza possibilità di cambiamento". Infatti, la prospettiva proposta in questo testo propone una visione dell'apprendimento più ampia e complessa: "L'apprendimento e le sue difficoltà non sono un 'cassetto a parte' slegato dal resto del soggetto, ma sono strettamente interrelate al resto della persona". L'autore punta quindi a trovare il modo mediante cui la "differenza possa essere davvero 'inclusa' senza che sia nuovamente rinchiusa in quella che potrebbe divenire soltanto un'ulteriore categoria diagnostica, ossia un 'Bisogno educativo speciale'".
In questo contesto, la legge 170/2010 rappresenta "un punto di svolta, poiché apre un diverso canale di cura educativa, concretizzando i principi della personalizzazione dei percorsi di studio enunciati nella legge 53/2003, nella prospettiva della presa in carico dell'alunno con Bes da parte di ciascun docente curricolare e di tutto il team di docenti coinvolto, non solo dall'insegnante per il sostegno". Un tema da non prendere alla leggera dal momento che "il mancato riconoscimento di un Disturbo specifico dell'apprendimento (Dsa) comporta conseguenze personali e sociali spesso molto gravi. È comunque il riscontro di mancate diagnosi di Dsa nei ragazzi ospiti delle carceri per i minorenni. L'esperienza personale presso il carcere- ricorda Pegoraro- parla di circa il 60-70% dei ragazzi detenuti con storia positiva per Dsa", spesso in comorbidità con altre problematiche. Cosa fare? Diagnosticare precocemente queste difficoltà. Come? "Psicologi, logopedisti e neuropsichiatri devono lavorare in sinergia con il personale della scuola". D'altro canto diventa "necessario fare appello alle competenze psicopedagogiche dei docenti 'curriculari' per affrontare il problema, che non può più essere delegato tout court a specialisti esterni".
Insomma, nel tempo si è creata un po' di confusione nel capire a chi spetti agire: "Ci troviamo di fronte a uno spostamento di competenze psicopedagogiche- afferma l'autore- inizialmente delegate agli specialisti esterni (i clinici) e ora restituite ai docenti". La normativa sui Bes (direttiva del 27 dicembre 2012 del Miur, accompagnata dalla pubblicazione delle Indicazioni operative del 6 marzo 2013) punta infatti a un "approccio educativo non meramente clinico per individuare strategie e metodologie di intervento correlate alle esigenze educative speciali". Così Pegoraro invita la scuola a riscoprire "il suo valore educativo e pedagogico" per produrre dall'interno una riflessione e "riaprire la questione partendo dall'insegnamento".
Da qui il monito dello scrittore: "Collocare l'apprendimento in un'area del cervello, come se fosse una capacità a priori che qualcuno possiede e altri invece no, in quanto sarebbero presenti dei deficit che ne riducono la performance, ha come effetto principale di misconoscere che l'apprendimento è innanzitutto l'effetto di un lavoro che avviene secondo la modalità propria di ciascuno soggetto nel costruire il suo singolare legame del sapere con l'altro". E attenzione: "Gli interventi calibrati sul singolo- conclude Pegoraro- non devono essere intesi semplicemente come mera applicazione di strumenti compensativi e misure dispensative".
(Wel/ Dire)