(DIRE - Notiziario Scuola) Roma, 16 set. - Quanto hanno ragione i genitori a preoccuparsi se i loro figli si trovano in classe circondati da Ahmed, Zhou, Marisol e Mohamed? Impossibile dare una risposta secca: "Dipende dalle situazioni, molti ragazzi con cognomi stranieri sono nati in Italia e non hanno problemi linguistici". Lo dice Graziella Favaro, pedagogista ed esperta di intercultura responsabile del Centro Come di Milano. Ma attenzione: non e' corretto nemmeno stigmatizzare le paure dei genitori che hanno ritirato le iscrizioni. Infatti " e' comprensibile la paura di trovarsi in una scuola di serie B", figlia di una lente "miserabilista" attraverso cui gli italiani guardano l'immigrato sempre e comunque. In lui si trovano i difetti, molto piu' che i pregi. La realta' invece sembrerebbe dire tutto il contrario: ci sono ragazzi di origine straniera che raggiungono risultati eccellenti a scuola (tanto che ormai non dovrebbero nemmeno far notizia), classi che procedono a ritmo spedito nella didattica, anche se e' forte la presenza di bambini che non hanno l'italiano come prima lingua.
Le classi ghetto nascono per tre motivi sostanziali. Il primo e' che in Italia non c'e' l'obbligo di iscrivere il proprio figlio alla scuola del bacino d'utenza, alla scuola del quartiere. Cosi' puo' essere che certe famiglie straniere decidano di iscrivere i loro bambini insieme. In quel caso una scuola deve accettare le iscrizioni, salvo che le classi non siano gia' piene con gli studenti che provengono appunto dalla zona vicino alla scuola. Il dispositivo introdotto dalla riforma Gelmini del tetto massimo del 30 per cento di alunni stranieri: "Non e' mai stato precisato chi sono - spiega Favaro - cosi' le scuole ottengono facilmente le deroghe". Il paradosso, tra l'altro, e' che molti degli studenti stranieri vivono in famiglie italiane di fatto, dove si parla correntemente italiano e dove come unico retaggio della provenienza diversa c'e' il cognome.
Paradossi dell'assenza di una legge sulla cittadinanza.
"Ogni scuola dovrebbe essere una scuola plurale. Non ci dovrebbe essere un numero preponderante ne' di stranieri ne' di italiani". E' questa l'unica ricetta per Favaro: l'equilibrio. Rifuggire sia da riserve dove si mantiene intatta "un'omogeneita' socioculturale" che non esiste piu', cosi' come le classi ghetto, dove gli italiani si contano sulle dita di una mano. Solo una scuola senza sbilanciamenti puo' rappresentare al meglio la societa' e svolgere il suo ruolo: "essere figlia e madre della comunita'", il luogo dove si cresce per entrarne a far parte e il luogo dove se ne delineano le caratteristiche future. Non solo l'Italia s'e' incagliata sulla multietnicita' tra i banchi di scuola. Prima di noi e' toccato a Francia, Stati Uniti, Olanda. E ogni Paese ha avuto le sue vittorie e le sue sconfitte nel campo: "Quello che apprenderei dalla Francia e' la capacita' di cercare soluzioni al tema della mixite' scolaire, mentre da noi il dibattito non e' ancora stato affrontato con la stessa attenzione", commenta Favaro. E invece, troppo spesso, il tema e' ridotto ad una pagina di giornale dove si celebrano i buoni voti di un ragazzo di origine straniera o dove si da' notizia della fuga di italiani da una scuola.
(Wel/ Dire)