(DIRE - Notiziario Scuola) Roma, 3 giu. - Di seguito, l'intervento di Antonino Petrolino, dell'Associazione nazionale dirigenti e alte professionalita' della Scuola (Anp).
Molti anni fa, quando era di moda guardare alla Cina, veniva citato spesso un aforisma attribuito a Deng Xiaoping: "non importa di che colore sia il gatto, l'importante e' che mangi il topo".
Altri tempi ed altra sinistra. Quella parte di essa che ha voluto il referendum del 26 maggio a Bologna, per esempio, sembra fermamente convinta che il colore del gatto - cioe' di chi gestisce le scuole dell'infanzia - sia l'unica cosa che conta.
I dati di fatto sono stati molte volte ricordati: Bologna e' governata da una giunta di sinistra e fu un'altra giunta di sinistra, quasi vent'anni fa, ad inventare quel modello di sussidiarieta' educativa i cui risultati si vedono oggi: quasi il 99% dei bambini dai tre ai sei anni frequentano la scuola dell'infanzia, un dato di eccellenza a livello internazionale.
Di quel 99%, una piccola parte - circa un quinto - frequenta scuole paritarie, quasi tutte cattoliche. Molti di piu' sono quelli che frequentano scuole comunali. Ognuno di loro costa quasi settemila euro l'anno, mentre il contributo per le famiglie che scelgono di iscrivere i figli alle scuole paritarie e' di appena 600 euro. Con un costo, per 1800 bambini, di un milione di euro su trentasei milioni complessivi.
Detto in un modo diverso: se quei contributi non ci fossero ed il Comune dovesse farsi carico di tutti i bambini che ora ne beneficiano, spenderebbe dieci volte tanto. Piu' realisticamente, visto che i soldi sono quelli che sono e che il patto di stabilita' non consentirebbe in ogni caso di spendere di piu', nove su dieci di loro rimarrebbero senza una scuola da frequentare.
Fiat justitia, pereat mundus? Non puo' certo essere stata questa l'intenzione che ha mosso i promotori del referendum: ma questo ne sarebbe l'effetto, se si dovesse dar corso all'opzione A, quella che propone di non sostenere piu' le scuole paritarie dell'infanzia. Con buona pace dell'uguaglianza dei diritti - quella si' sicuramente di rilevanza costituzionale.
Per una volta, il fronte del "no" e' stato largo e trasversale, includendo tutte le principali forze politiche ed un arco di soggetti che vanno dalla CEI alle Coop. E non ci sarebbe bisogno di scomodare Manzoni per ricordare che quando Perpetua e il cardinal Borromeo la pensano allo stesso modo, questo vuole pur dire qualcosa.
Si eviti almeno, per rispetto della Carta costituzionale, di tirarla in ballo in questa questione: non si puo' usare la Costituzione contro se stessa, per negare il diritto all'istruzione ad una parte dei cittadini e per ridurre la misura dell'uguaglianza fra di loro. Quando si contrappone la lettera di una norma alla ratio che la ispira non si rende un buon servigio alla norma e neanche alla societa' civile, che deve trovare in essa una tutela e non un nemico.
Non si difende la scuola di tutti partendo dalla demolizione di quello che va bene, nella ricerca irrazionale del "meglio assoluto". Una volta, a sinistra, si sapeva che l'estremismo e' la malattia infantile del comunismo. Stupisce che a quell'eredita' politica e culturale si siano richiamati in questa circostanza alcuni che si comportano come se l'avessero dimenticato.
(Wel/ Dire)