(DIRE - Notiziario scuola) Roma, 21 gen. - I bambini dislessici vivono male il proprio ruolo all'interno della famiglia e, se la disegnano, si rappresentano molto piu' piccoli rispetto alla loro eta' reale, eliminando spesso dall'immagine i fratelli e le sorelle. Inoltre, circa 1 bambino su 3 (il 31%), tende ad identificarsi con i genitori, che nel 60% dei casi risultano i personaggi piu' simpatici. Lo rivela uno studio dell'Istituto di Ortofonologia (IdO), condotto su 97 bambini con Disturbi specifici dell'apprendimento (Dsa), presentato sabato a Roma al XV convegno nazionale su 'Dislessie. Il ruolo della scuola nella complessita' degli apprendimenti', promosso dall'Istituto di Ortofonologia in collaborazione con l'istituto comprensivo Regina Elena.
La ricerca dell'IdO ha rilevato che quando i soggetti dislessici "si proiettano nella famiglia fanno emergere una modalita' piu' regressiva, presentandosi come si sentono realmente, ovvero piu' piccoli. Quando si rappresentano, invece, in una persona (test figura umana) si disegnano come vorrebbero essere, piu' grandi e autonomi". Quindi, questi bambini "sono in grado di rispondere alle aspettative sociali- ha spiegato Magda Di Renzo, responsabile del servizio Psicoterapia eta' evolutiva dell'Ido- ma non presentano un'adeguata gestione sul piano emotivo. Sono soggetti- ha proseguito l'esperta- che sviluppano forme di conflittualita' indiretta, che vanno dalla distrazione all'opposizione, e che si caratterizzano per un atteggiamento piu' remissivo". In questo contesto, la famiglia si presenta "dominata da relazioni piuttosto statiche e i genitori appaiono come figure idealizzate. Con questa affermazione- ha precisato la psicoterapeuta dell'eta' evolutiva- non voglio colpevolizzare nessuno, ma far comprendere che ad alcuni bambini occorrono genitori attenti alla loro particolare sensibilita'". Secondo l'IdO, "i disturbi di attenzione non hanno a che fare con gli aspetti organizzativi, ma con quelli affettivi e rappresentano un'area di sovrapposizione tra il disturbo depressivo e quello specifico dell'apprendimento". Esisterebbe, quindi, una bidirezionalita' tra i due disturbi, poiche' "l'ansia e la bassa autostima- e' stato spiegato- incidono sulla capacita' dei bambini di utilizzare correttamente l'attenzione e la memoria, causando una difficolta' nello gestirsi autonomamente e di conseguenza negli apprendimenti".
Per avvalorare la tesi secondo cui gli aspetti emotivi concorrerebbero alla strutturazione dei Dsa, l'equipe dell'Istituto di Ortofonologia ha esaminato l'andamento delle autonomie di base che precedono la scolarizzazione e la stessa diagnosi di Dsa, analizzando le condotte di alimentazione, del sonno, del controllo sfinterico e dell'inserimento scolastico.
Per Paola Vichi, psicoterapeuta, responsabile del servizio di Psicopedagogia dell'IdO, "le principali problematiche, che hanno riguardato il 68% dei bambini con Dsa, afferiscono a due condotte particolari: il sonno, sempre agitato e con continui risvegli notturni, e il tardivo controllo sfinterico". Vichi ha indicato dei criteri in questi due ambiti: "Per il sonno sono stati considerati non adeguati quei bambini che dormono abitualmente nel lettone dei genitori oltre i 4 anni, mentre per il controllo sfinterico quelli che non l'hanno raggiunto entro i 3 anni. È un limite sociale- ha ricordato- poiche' il bimbo deve essere autonomo per poter andare alla materna. Nell'operare su questa acquisizione e' centrale il ruolo dei genitori come figure di accudimento e di spinta all'autonomia. Abbiamo anche trovato- ha precisato la psicoterapeuta- il protrarsi di fenomeni tipo enuresi e stipsi". Infine, "sono stati riscontrati segni di scarsa autonomia conseguenti al protrarsi dell'allattamento materno oltre i 18 mesi, all'uso continuativo del biberon oltre i 3 anni e a difficolta' nell'inserimento scolastico". La spinta propulsiva alla conoscenza "dipende dalla capacita' di ogni bambino di tollerare l'angoscia e di guardare all'errore con la sensazione di poterlo riparare- ha spiegato ancora Di Renzo- altrimenti lo sbaglio viene vissuto come un fallimento totale che genera frustrazione. Questa capacita'- ha proseguito- dipende dal tipo di relazione che si stabilisce nei primi anni di vita del bambino con le figure di riferimento".
Da uno studio dell'IdO e' emerso che "il 74% dei soggetti con Dsa ha un attaccamento insicuro nei confronti dei genitori, che li rende piu' ansiosi e inefficaci, con conseguenti difficolta' di attenzione". È il risultato del Separation anxiety test (Sat), che l'IdO ha somministrato a un campione di 97 bambini con Disturbi specifici dell'apprendimento, composto da 32 femmine e 65 maschi di eta' media di 9 anni. Il Sat e' un test semi proiettivo, utilizzato per valutare le reazioni del bambino rispetto ad alcune situazioni stimolo, relative ad esempio alla possibilita' che i genitori si siano allontanati per andare a cena fuori o per un lungo viaggio. Il test e' stato interpretato introducendo la differenziazione tra bambino ipotetico e bambino reale, analizzando cosi' le reazioni del soggetto quando si confronta con un ipotetico bambino o con se stesso. "In entrambe le prospettive- ha chiarito Di Renzo- i soggetti esaminati hanno presentato un attaccamento insicuro (il 74% nella situazione reale e il 60% in quella ipotetica), pero' se nel confronto con la situazione ipotetica il bambino sa cosa bisognerebbe fare, nel confronto con quella reale non e' piu' in grado di organizzarsi autonomamente".
Un dato che invece e' risultato particolarmente "interessante- ha evidenziato la psicoterapeuta- e' che il livello di intelligenza non e' un fattore che puo' modificare il mondo interno del bambino. Infatti, nel modello ipotetico piu' e' alta l'intelligenza piu' il soggetto si avvicina alla norma e quasi la supera, mentre nel modello reale l'intelligenza non ha nessuna possibilita' di modificare la situazione". In sintesi, Di Renzo ha confermato che "il dato clinico rilevante nei bambini esaminati e' che se da un lato sanno qual e' il modello piu' adattivo rispetto ad una situazione di separazione, dall'altro non riescono poi ad utilizzarlo nella loro esperienza psico-affettiva ed emotiva". Per la psicoterapeuta dell'eta' evolutiva, "questo indica la necessita' di guardare al bambino nella sua complessita', senza tralasciare i suoi bisogni, le sue frustrazioni e le sue paure. Se l'unico obiettivo riguarda la sola prestazione intellettiva, escludendo la maturazione affettiva, allora- ha concluso Di Renzo- ci troveremo ad affrontare una crescente medicalizzazione con richieste di aiuto provenienti da bambini sempre piu' piccoli, arrivando fino ai nidi".
(Wel/ Dire)